Catanzaro, Ettore Castagna e la lira: la vivida testimonianza di un mondo antico e mai perduto
Ettore Castagna, catanzarese di domicilio bergamasco ma migrante di destino ed anarchico di animo, è un personaggio di collocazione obliqua: ricercatore, antropologo ma anche quotato scrittore. La sua produzione artistica è fluente ed abbraccia varie esperienze: dai Re Niliu, un gruppo che è stato progenitore di un sound etnico tagliente, a una carriera solista che lo ha visto di recente anche esordire con “Eremìa”, un album molto ispirato e dal taglio cantautorale, pubblicato da Alfa Music qualche tempo fa. Nella sua ultima fatica si è concentrato sulla lira, un affascinante strumento ad arco dotato di sole tre corde, testimone di un mondo antico e mai perduto.
“Lira sona sona” è l’eloquente titolo: si tratta di una commissione pubblicata da www.nota.it, riservatagli nientemeno che dalla prestigiosa facoltà di Etnomusicologia della Sorbona a Parigi. Un disco ruvido e magnetico che scuote l’animo e svela le radici di una dimensione originatasi da antichi per quanto insuperabili Maestri: Questo è un album – esordisce- che avrei dovuto fare trent’anni fa ma che non avevo mai realizzato perché costantemente distratto da altro. Faccio da sempre troppe cose insieme. Nell’ultimo decennio poi mi sono distaccato in modo forse definitivo dalla riproposta filologica, aggiungerei però che il Destino ha risolto il gioco. Una mattina di maggio 2023 spunta sulla porta di casa mia, a Bergamo il chiarissimo Professore Dider Demolin, che mi appare subito molto determinato. “Sono venuto a trovarti perché ho bisogno di parlarti di un progetto…” esordisce, e poi attacca un discorso al quale stentavo a credere, dato il mio rapporto non sempre sereno col mondo accademico, per lo meno italiano.
Una sorta di investitura sul campo insomma…
“Quella per fortuna era arrivata già prima. Didier è uno scienziato sorridente, dai modi franchi e diretti, senza alcuna retorica. “Tu sei il testimone storico della lira della Calabria – ha proseguito – quindi tocca a te fare un lavoro di sintesi della tua esperienza, in sostanza su di te, dal momento che rappresenti il Bartok italiano”.
Wow che shock!
“Difatti una volta ripresomi da lì a poco, che avrei potuto dire? Forse di no? Giammai. Con il prezioso supporto di un importante sponsor internazionale, il disco è stato registrato alla velocità della luce in un mese, ho fatto quasi tutto da solo registrando fra Reggio Calabria e Bergamo. Pochissimi gli apporti esterni. Un disco direi etnografico, duro, schietto, frontale: la lira come si è suonata per secoli e come la suono io dal 1985. Devo però nominare come compagni di strada la meravigliosa presenza della voce di Jenny Caracciolo, molto antica ma a volte con venature neomelodiche e il sound primordiale di Mimmo Morello. Al disco hanno partecipato anche Peppe Muraca e Anna Cinzia Villani”.
Cosa è per te la contemporaneità? Perché insisti a suonare la lira in questo modo? Non temi l’archeologia?
“Sarò banale ma la mia idea del contemporaneo è molto filologica. Tutto ciò che esiste in questo momento, che con me esiste in questo momento. Suonare la lira così all’antica a molti pare limitato: bicordi a bordone, scale modali con le note alterate, insistiti ritmici sporchi e primordiali. Niente vibrati e niente scale spettacolari con salti di posizione paganiniani ma circolarità, ricombinazioni continue, ipnotiche. Certe volte che suono solo, che suono per me, mi perdo per tempi dilatati e infiniti in questi cicli di micro variazioni e microtoni. Penso più a Steve Reich e a Terry Riley che al virtuosismo degli archi romantici… E devo dirti che procedendo in questo modo trovo la pace del cuore”.
Vivi a Bergamo dalla fine degli anni ’80, quindi lontano dalla Calabria e in maniera quasi ovvia per quanto inevitabile, tu i maggiori consensi li hai raggiunti altrove. Che sensazione ti fa adesso rispetto a quando sei andato via? Ti pesa la considerazione di non essere un “restante”? Oppure la Calabria resta, come ha già detto qualcuno, un luogo della mente?
“L’illustre De Martino diceva che è necessario avere un villaggio nella memoria e Pavese diceva che un paese “ci vuole”, anche solo per andare via. La Calabria è il villaggio della mia memoria. Ho una visione non retorica della Calabria e accetto quello che è oggi la mia regione di nascita come custodisco gelosamente memoria di quello che era prima e di quando sono andato via. Io sono un sostenitore della memoria e uno scettico della nostalgia. La memoria è restituire le cose come sono andate. La nostalgia è la ricordanza di Leopardi, è trasformare il passato in meglio o in peggio. “Voglio essere testimone anche quando non ci sarà più nessuno a cui rendere testimonianza” dice Cassandra di Christa Wolf. Ed io questo penso”.
Restiamo ancora sulle tematiche regionali: paleariza se non erro nacque nel 1998, Tarantella Power(oggi Kaulonia Tarantella Festival) nel 1999, Primavera dei Teatri nel 1998, Joggiavantfolk negli stessi anni. Oggi Primavera dei Teatri è un festival considerato tra i maggiori nel panorama del teatro italiano proprio per la sua apertura verso altre realtà e territori, mentre Paleariza non si svolge più. Kaulonia Tarantella Festival si trova quasi costretto ad invitare nomi della TV, quasi delle vecchie glorie, che nessuno calcola realmente dal punto di vista artistico per avere un titolo sulla stampa locale e Joggi Avant Folk rimane un festival che si basa sul volontariato come altre realtà lodevoli ma che poi non hanno retto. Cosa è successo secondo te?
“È successo che il livello politico e quello culturale in Calabria non dialogano. La politica è asfittica, incapace, insensibile, depressa. Rispecchia lo sconcerto, il disincanto, la mancanza di sogni dell’elettorato. La qualità non interessa, non merita finanziamento. La Calabria vive quindici giorni ad agosto ed il metro della politica per finanziare lo spettacolo in genere è il cosiddetto “salsicciometro”. Quanto sozizzu avete venduto? Tanto? Ok allora la festa è andata bene”.
Giorni fa si è laureato il primo zampognaro presso il conservatorio di Nocera Terinese. Ma da quanto mi risulta alle feste tradizionali “u sonu”, oggetto anche della tua ricerca, è diminuito fortemente. In compenso si stampano CD e libri sull’argomento. Ti sembra che il tutto abbia una sua logica? Quale potrebbe essere invece una politica efficace per la valorizzazione culturale e turistica delle tradizioni locali?
“Fino a pochi anni fa ci vergognavamo della stalla del nonno perchè puzzava di animale e di concime. Oggi chiediamo i finanziamenti per farne uno spazio panoramico con idromassaggio dentro un agriturismo. Questo è quello che è successo. La cultura contadina e pastorale è stata oggetto di secolare vergogna storica. Dopo aver buttato a mare il bambino e l’acqua sporca ecco che oggi c’è il rimpianto. Dilaga la nostalgia verso quello che non abbiamo mai conosciuto davvero perché oggetto di rifiuto assoluto storico e sociale. Rivogliamo la cosiddetta “tarantella”, rivogliamo la cosiddetta “tradizione”. Il Sud sembra una riserva indiana nel quale gli indigeni sconfitti mettono in scena una loro ritualità ipostatica per incassare qualche dollaro dai turisti. La Calabria ha il suo repertorio… il peperoncino… la tarantella… perfino la ndrangheta… Una politica veramente seria di analisi critica della storia della Calabria e del Sud non è mai avvenuta. Solo un processo del genere, con la consapevolezza che porta con sé potrebbe avere un valore come elemento fondante di un progetto per il futuro”.
Quale ritieni essere stata la maggiore soddisfazione del tuo percorso artistico? Che differenza c’è quando scrivi una canzone ed invece quando hai a che fare con la stesura di un romanzo?
“Sono molto orgoglioso di aver mantenuto sempre la schiena dritta. Ho sempre suonato, cantato e scritto quello che mi piaceva scrivere in quel momento. Non ho mai rincorso le mode. Ho fatto il possibile e, spesso, l’impossibile per ignorarle. Mi piace scrivere musica, libri senza tempo. Dischi che ascolterai fra dieci o quarant’anni e penserai che ti parlano ancora. Non mi interessa essere a la page, seguire il cosiddetto mood. Ho fatto e faccio una fatica orba per essere me stesso e per restarlo. Dentro la mia musica e la mia scrittura c’è il bassista punk degli anni ’70, il viaggiatore, l’innamorato della filologia, il lettore dei classici come della beat generation, il suonatore di strumenti tradizionali, l’antropologo, il collezionista di vinili (ce mi hanno rubato), l’emigrante postmoderno, il documentarista, il giornalista, il professore di letteratura… Una canzone può essere molto diversa da un romanzo. Non solo perché il lungometraggio è diverso dal cortometraggio ma io seguo l’insegnamento del caro indimenticato amico Mario Giacomelli. Una volta mi disse: “Quando io mi emoziono mentre scatto vuol dire che quella sarà certamente una grande foto”. Questo vale per tutto: per la foto, per il romanzo e per la canzone”.
Cosa ti aspetta nei prossimi mesi? So che hai già pronti almeno uno se non due dischi di materiale inedito e cosa ascolti oggi mosso solo dal piacere di farlo senza che il tutto possa eventualemte avere delle ripercussioni sulla tua attività di ricerca?
“Sono un ascoltatore caotico ma globale. Non ho generi di riferimento. Evito in genere il mainstream ma finisco per ascoltarlo lo stesso. Non mi piace la lirica salvo rare eccezioni. Il bello è che esattamente tutto quello che ascolti ha ripercussioni inevitabilmente in ciò che scrivi e suoni. Ma questo è il mio modo artistico di vivere la contemporaneità. In genere per scaramanzia sono piuttosto avaro di anticipazioni sul futuro. Sto lavorando al mio prossimo e secondo album da cantautore che dovrebbe uscire entro il 2025. Non avendo però grandi e ricche produzioni alle spalle i tempi non sono certi. Ecco, di questo sono orgoglioso, tutta la mia vita artistica, nella scrittura e nella musica, è sempre stata autoproduzione. Ho sempre deciso tutto io… punti, virgole, pure le parentesi quadre”.