De Andrè, un genovese mediterraneo a Napoli

’Na strada ’mmiez’o mare. Napoli per Fabrizio De André rilegge Crêuza de mä in napoletano

di Guido Festinese – giornaledellamusica.it

AA.VV.
’Na strada ’mmiez’o mare. Napoli per Fabrizio De André
Nota Records
2024

Usiamo la definizione “classico” per qualcosa che fa riferimento al mondo dell’arte, o comunque dell’ingegno umano, da quasi duemila anni. Nel secondo secolo d.C. quella parolina controversa la coniò Aulo Gellio, ed il riferimento era, appunto “classista”: era classico e degno, dunque, quanto potesse permettersi una “classe” ben fornita di censo, di presenza economica.

Attraverso diversi e curiosi snodi, la parola è arrivata fino a noi. Il significato più vicino alle nostre intenzioni e ai nostri propositi, oggi (e da Goethe in avanti) è che un classico sa abitare comodamente il proprio presente, al contempo non scordando il passato, e indirizzando antenne curiose verso il futuro.

In effetti funzionano così le opere di Shakespeare, quelle di Dante, di Borges o di Virgilio, abitatori incolpevoli di epoche diverse. Funziona allo stesso modo in musica, e perfino nella popular music, almeno, quella più prensile nei confronti di sollecitazioni che popular non sono, o lo sono parzialmente: pensate a Sgt. Pepper dei Beatles, o quel perturbante capolavoro, oggi alla boa del quarantennale, che fu ed è Crêuza de Mä.

Svanita l’austera e reificante aura museale che a lungo ha infestato De André, com’è stato ben segnalato da qualche studioso attento, ora si possono trarre bilanci e fare considerazioni, ma anche parlare del presente. Crêuza de mä fu davvero un classico inconsapevole voluto nel cuore degli anni dell’ “edonismo reaganiano” e della “Milano da bere”, in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber, o, meglio, col suo mentore Álvaro Mutis.

Crêuza de mä fu un punto di svolta, un punto e a capo, un punto lanciato nell’infinito del pop e della canzone d’autore a costruire una linea retta fatta di infiniti punti.

Fu un punto di svolta, un punto e a capo, un punto lanciato nell’infinito del pop e della canzone d’autore a costruire una linea retta fatta di infiniti punti. I suoi due limiti, far riferimento a una lingua che nessuno capiva, un genovese quasi inventato, e una musica che nessuno conosceva, un mazzo di aromi mediterranei anch’essi (quasi) inventati che nessuno nel grande pubblico sospettava diventarono punti di forza.

Ecco, qui potrebbe fermarsi il discorso: perché finalmente esce la testimonianza discografica, per Nota Records, di due serate memorabili tenutesi nel cortile del Maschio Angioino il 14 e 15 settembre del 2015: ’Na strada ’mmiez’omare / Napoli per Fabrizio De AndréCrêuza de mä ricantato e risuonato per intero.

Artefici del tutto Annino La Posta, che ha curato la direzione culturale del progetto e lo ha condiretto artisticamente con Dario Zigiotto. lI tutto sotto i buoni auspici di Comune di Napoli, Club Tenco, Fondazione De André.

Protagonisti, per il Faber / Pagani ricantato e risuonato, ma  tradotto in napoletano: Teresa De SioFrancesco Di BellaGerardo BalestrieriEnzo Gragnaniello con Mimmo MaglionicoMaldestroNando Citarella, la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Bella schiatta d’artisti: in quel momento in  buon equilibrio tra nomi storici e emergenti all’affaccio.

Esiti notevoli, interessanti, in qualche caso clamorosi. E la segnalazione tecnica che ’Na strada ’miezz’o mare è traduzione assai più vicino al vero, letterale significato di Crêuza de mä di quanto si creda.

Qui torniamo al punto “classico”: ciò che è diventato tale permette, accoglie, rilancia ogni rilettura, preservando misteriosamente il proprio essere unico, e rilanciando all’infinito la possibilità di identità multiple, plurivoche, e perfettamente legittime. Incremento di bellezza, non diminutio.

Franco Giordani – Ressenàl (Nota, 2023)

di Salvatore Esposito – blogfoolk.com

Polistrumentista e compositore di Claut (Pn), Franco Giordani ha alle spalle un lungo percorso artistico nel corso del quale ha militato in diverse formazioni locali come Klautans, Top Secret, Lollipop e Bottle of Smokee per poi iniziare dal 2004 una fruttuosa collaborazione con Luigi Maieron, oltre a misurarsi in ambiti artistici differenti tra letteratura con la raccolta di racconti “Il profumo della brina” edita nel 2019 per la collana “I quaderni del Menocchio” e il teatro lavorando a diversi spettacoli come “I Turcs tal Friùl” di Pier Paolo Pasolini e “Tre uomini di parola” con Mauro Corona e Toni Capuozzo. Nel 2015 è arrivato la sua opera prima come solista “Incuintretimp” giunto in finale alle Targhe Tenco, a cui è seguito nel 2017 il pregevole “Truòisparis”, dedicato alla Valcellina e cantato nelle cinque diverse varianti della lingua friulana. A distanza di cinque anni da quest’ultimo, Franco Giordani torna con “Ressenàl”, terzo album in carriera nel quale ha raccolto quattordici brani cantati in italiano e friulano, tra composizioni originali e liriche di Federico Tavan, Barbara Floreancig, Giuseppe Malattia, Aldo Polesel e Rosanna Paroni Bertoja messe in musica per l’occasione. Come ben evocato dal titolo che in friulano nella variante clautana vuol dire letteralmente arsenale ma anche disordine o confusione, questo album è una istantanea dell’universo musicale e poetico del cantautore di Claut nel quale si intrecciano le passioni per la poesia, l’arte e lo sport, ma anche l’importanza della memoria, l’urgenza del canto sociale e della protesta civile. Ad impreziosire il tutto c’è il corposo booklet, immancabile nelle pregevoli pubblicazioni della collana BlockNota di Nota Editore, nel quale la poetica introduzione di Maurizio Mattiuzza fa da preludio a tutti i testi del disco, a cui seguono i contributi del giornalista Toni Capuozzo e del pittore udinese Giordano Floreancig, autore dell’evocativa copertina e delle opere che contrappuntano le pagine, e un racconto di Giorgio Olmoti. Siamo, dunque, di fronte ad un lavoro nel quale convergono diverse forme d’arte e che si muove su registri espressivi ed atmosfere differenti, spaziando dall’ironia più pungente alla poesia, da profonde riflessioni sulla vita a memorie storiche, spesso dimenticate. Un insieme di suggestioni solo in apparenza caotico ma che ci svela la coerenza di un “arsenale” creativo sempre in fermento animato dalla viva ispirazione e da una visione dell’arte aperta a tutte le sue declinazioni. Tutto questo si riflette anche negli arrangiamenti con echi di folk americano, bluegrass e roots rock, ma dove non mancano incursioni nel pop e nel rap, o uno sguardo alla tradizione musicale friulana con le villotte. “Ressenàl” ha preso vita nell’arco temporale che va dal dicembre del 2017 all’ottobre del 2021, con gli ultimi anni segnati dalla pandemia da COVID-19 e dai lockdown, ma nel quale Franco Giordani (chitarra acustica, voce e cori) non ha mai smesso di fare musica e di comporre brani nuovi e vede la partecipazione di un folto gruppo di strumentisti che si alternano al suo fianco: Massimo Gatti (mandolino, mandola), Alessandro Turchet (contrabbasso e basso), Elvis Fior (batteria), Leo Virgili (trombone, tastiere, sinth e chitarra elettrica), Chiara Trentin (violoncello), Francesco Mosna (chitarra acustica e dobro), Jimmi Bressa (chitarra elettrica) Paola Selva (chitarra acustica) e Alvise Nodale (chitarra acustica) a cui si aggiungono le voci di Leonardo Giordani e Gabriele Della Valentina. Durante l’ascolto, man mano che scorrono i brani, si ha l’impressione di sfogliare le pagine di un taccuino di appunti o di un diario in musica, con il cantautore friulano che, in una dimensione spesso confidenziale e diretta, ci consegna l’intensità della poesia, il divertimento negli episodi più ironici e le suggestioni del ricordo. Ad aprire il disco è il folk-rock acustico della title track nella quale il dialogo tra la chitarra del cantautore di Claut e il mandolino di Gatti avvolge le meditazioni sul tempo che passa e sul futuro. Si prosegue con la toccante e nostalgica “Spietame” su una poesia di Federico Tavan dedicata alla mamma scomparsa e nella quale spicca il trombone di Leo Virgili a fendere la linea melodica intessuta dalla chitarra acustica e dal mandolino. Se struggente è “Soldato del carbone” su testo della poetessa Barbara Floreancig in cui sono raccolti i ricordi di un minatore, “Via Lontano” è una elegante e delicata canzone d’amore in punta di chitarra. Arriva, poi, il segmento più leggero del disco con “Campagna elettorale” che incrocia rap e canzone d’autore mettendo alla berlina i politici alla ricerca di voti per le elezioni e il ritratto di uno strampalato tennista del trascinante bluegrass de “La Ballata di Ivan”. Il bisogno di pace dalla vita frenetica di ogni giorno di “Quan” e il rovente ed ironico rock blues “Sindaci autovelox” ci introducono alla gustosa “Villotta green pass parte I” e all’invettiva rock de “Il falò più grande del mondo” in cui Giordani canta della costante tensione distruttiva della società e che culmina con “Villotta green pass parte lI”. Verso il finale arrivano lo sguardo verso la nostra nazione e ai suoi chiaroscuri con “Oh l’Italia”, e i pensieri di un uomo “figlio di un altro mondo” di “Jeir” per giungere alla confessionale “E iò?” in cui il cantautore friulano riflette sul senso dell’esistenza e che suggella quello che è qualcosa di più di un disco, ma piuttosto è una articolata opera concettuale da ascoltare, leggere e guardare, per comprenderne fino in fondo la ricchezza, la bellezza e la poesia.

 

Il grande libertario

di Guido Festinese – Alias del 16/06/2024

Carmine Torchia NON C’È PIÙ NIENTE

1. Alla scuola della poesia (Préface) (Ferré-Medail)
2. Gli anarchici (Les anarchistes) (Ferré-Medail)
3. Il cattivo seme (La mauvaise graine) (Ferré-Torchia)
4. L’oppressione (L’oppression) (Ferré-Torchia)
5. Muss en sein? Es muss sein! (Ferré-Armellini)

6. La memoria e il mare (La mémoire et la mer) (Ferré-Torchia)
7. Gli anarchici (tema) (Ferré)
8. La speranza (L’espoir) (Ferré-Torchia)
9. Thank You Satan (Ferré-Torchia)
10. La solitudine (La solitude) (Ferré-Medail)
11. la Marsigliese (La Marseillaise) (Ferré-Torchia)
12. No grazie (Sans façon) (Ferré-Torchia)
13. Non c’è più niente (Il n’y a plus rien) (Ferré-Medail)

Produttore:

  • Matteo D’Alessandro – produzione
  • Mathieu Ferré – produzione esecutiva per La mémoire et la mer
  • Daniele Fiaschi – produzione
  • Matteo Frullano – produzione
  • Filippo Grilli – riduzione ed esecuzione della partitura originale per voce e pianoforte (7)
  • Adriano Modica – postproduzione; co-produzione (12)
  • Carmine Torchia – produzione
Arrangiatore:

  • Léo Ferré – direzione orchestra campionata nel finale (13)
Musicisti:

  • Alessandro Bartalini – cori (3)
  • Matteo D’Alessandro – batteria
  • Luca De Carlo – tromba (8)
  • Mattia De Minicis – tuono (4); clarinetto, campanelli e shaker (5)
  • Daniele Fiaschi – chitarre elettriche
  • Matteo Frullano – organo, sintetizzatore e piano elettrico (10)
  • Enrico Gabrielli – sax tenore, clarinetto e archi (9)
  • Filippo Grilli – pianoforte (7);
  • Adriano Modica – chitarra elettrica, organo Farfisa, sintetizzatore, vibrafonette, percussioni (12); Mellotron (5, 8); sintetizzatore (13)
  • Carmine Torchia – voce, basso, chitarre classiche e acustiche, qualche chitarra elettrica, sintetizzatori, pianoforte, piano elettrico, programmazioni
Registrazioni:

  • Lo studiolo – Barberino Tavarnelle – Firenze – registrazioni (aprile 2023)
Tecnico del suono:

  • Matteo Frullano – registrazioni
Fotografie, Grafica, Immagine:

  • Enrico de Angelis – scritto di prefazione (Senza bavaglio, senza museruola)
  • Mathieu Ferré – scritto di prefazione (Paris-Sersale A/R)
  • Linda Fierro – progetto grafico, grafica e impaginazione
  • Michela Franzoso – fotografie in studio
  • Tommaso Le Pera – fotografia di copertina
  • Leonardo Sani – foto di pagina 29 del libretto
  • Andrea Satta – scritto di prefazione (Ferré sul 38° parallelo)

Note e Curiosità:
– Confezione a libro con libretto spillato di 70 pagine.
– Tristan, Nicolas e Charlotte: voci in Il cattivo seme.

Dove trovarlo: vai al negozio di Block Nota

Recensione:
Più hanno gridato, più hanno ancora fiato… emblematico vessillo di Ferrè che Torchia interpreta con grande passione nel nuovo album composto di 13 pezzi uscito a fine novembre.
Un album politico e poetico allo stesso tempo. Oltre ai brani un libretto con i testi e le prefazioni di Enrico De Angelis. Un entrare a mani nude nella terra di Ferrè degli ultimi anni, quella del Chianti, rivelandone tutta la forza espressiva attraverso una rivisitazione ricercata, un timbro penetrante e spesso recitativo, una cassa armonica tagliente e corposa. Un disco pensato con il figlio di Ferrè, Mathieu, con un meticoloso lavoro di selezione dei testi e di arrangiamenti. Da Carmine sono stati tradotti sette brani di cui non esisteva la versione italiana. Architetto di parole, un cuore rock che guarda il cielo e che spesso parla attraverso il suo cane Rùanzu, un disegno che è diventato negli anni un compagno fedele al quale affidare l’anima.
Una personalità eclettica che traccia armonizzazioni di qualità altissima permeando di eleganza tutti i suoi lavori.
Rossana Ghigo (Vinile 38, aprile 2024)

Carmine Torchia è nato a Catanzaro, cresciuto a Sersale e vive a Milano. Scrive canzoni, produce dischi, spettacoli e mette in musica i poeti. Due righe veloci che servono ad inquadrare un artista poliedrico e che ci aiutano a presentare il suo nuovo lavoro. Nel dicembre 2023 ha infatti pubblicato il libro-cd Non c’è più niente – Carmine Torchia per Leo Ferré, suonato e cantato con Daniele Fiaschi e Matteo D’Alessandro (e con la presenza di diversi ospiti). Un album ‘politico’, nato dalla collaborazione con La mémoire et la mer che lo ha prodotto assieme a Nota, l’etichetta discografica friulana di Valter Colle, con Edizioni Peermusic Italy. Un lavoro di traduzione e rielaborazione musicale supportato dalla famiglia del cantautore francese, che era anche compositore, scrittore, artista impegnato in nome della libertà, anarchico con la A maiuscola, che si ispirava ai francesi “maudit” come Baudelaire, Verlaine, Rimbaud ma era anche affascinato dagli italiani Pavese e Testori; autori che nel tempo ha musicato e portato in scena nei suoi recital.
Ed è restando proprio nell’ambito del recital, che si alterna al canto, che si colloca questo tributo, frutto di uno studio e una frequentazione accurata e sentita con l’universo di uno dei giganti della musica d’autore francese. La traccia che apre l’ascolto è la prefazione Alla scuola della poesia. Torchia (qui sotto nella foto) sembra quasi canalizzare l’anima di Ferré, restituendoci un ritratto vivido e attuale attraverso le parole che hanno costruito le sue opere. L’ascolto risulta intenso e attento; il senso delle liriche crea una varietà di immagini e sensazioni che abbattono quei muri che aprono le porte dell’introiezione.
Sono tredici le canzoni selezionate da Mathieu Ferré, figlio di Léo. Sono state tradotte in italiano, alcune per la prima volta, come Il cattivo seme, Thank you Satan, No grazie, La Marsigliese e La speranza. Brani che vengono interpretati fedelmente con lo stile originale e personale di Carmine Torchia. Forse non è un album di facilissimo approccio, soprattutto per chi non ha mai affrontato la produzione autoriale di Léo Ferré, che con le sue inquietudini ha sempre raccontato la forza e la malinconia di un poeta ribelle, visionario, schietto, che non le mandava a dire. Ma già ad un secondo ascolto si inizia ad entrare meglio nel suo mondo e ad agevolare il tutto, nel piccolo libro che accompagna il cd, sono presenti i testi dei brani tradotti (oltre a quelli originali) più tre interventi che aiutano la comprensione. Il primo è ‘Paris-Sersale A/R’ scritto da Mathieu Ferré che introduce, spiega e “benedice” questa scelta operata da Carmine Torchia, accomunandolo alla figura di Caronte che traghetta l’ascoltatore alla scoperta di parole, di ‘Amore e di Libertà’. Segue poi Edoardo De Angelis in ‘Senza bavaglio, senza museruola’ permette di entrare maggiormente in connessione con il mondo e il pensiero di Léo, raccontando le sfumature che hanno caratterizzato i suoi testi e infine Andrea Satta, in ‘Ferré sul 38° parallelo’ rivela come Torchia sia riuscito a interpretarlo, attraverso una lettura poetica non convenzionale.
C’è chi sostiene che “Tradurre è un po’ come tradire”, tuttavia, questi testi nello scambio linguistico riescono a mantenere intatta la connotazione originale e vengono enfatizzati da un tappeto sonoro e da elementi che creano un’atmosfera elettrizzante. È il caso, ad esempio, del brano (recitato) La solitudine accompagnato dal suono della chitarra elettrica che gli dona un’anima rock. E di Non c’è più niente, un testo surreale, che nella versione originale ha una durata di oltre 15 minuti. Torchia lo amplia fino a farlo arrivare a circa 18 minuti, offrendo una suggestiva rilettura che scorre su un loop creato da un giro armonico-psichedelico, portandoci a scoprire (o riscoprire) parole che sembrano scritte oggi e che invitano a capire che in quel “non c’è più niente” si cela invece un tutto. Un concetto che ritroviamo nelle parole di Léo Ferré (qui in alto in una foto di repertorio) che compaiono anche sulla quarta di copertina dell’album: “Nasci solo muori solo, tra i due, ci sono avvenimenti, avvenimenti che spero tu scelga, perché la maggior parte delle volte questi avvenimenti ti vengono imposti, quindi fai tutto quello che puoi per mantenere questi avvenimenti per te stesso”.
Annalisa Belluco (L’Isola che non c’era, 2024)

Questa meraviglia va tra gli album di interprete migliori dell’anno, senza esitazione alcuna. Un approccio, quello di Carmine, di vero amore, di curata e millimetrica manipolazione, di convinto rispetto e attenzione per questa materia lavica e oscura, potente e disperata, che ti affama e ti sfama, che strappa pelle e flaconi di sangue, che ti fa venire la pelle d’oca e ti costringe e rivedere modelli e convinzioni, comportamenti e approcci. E’ cosa che riesce davvero a pochi. Alle traduzioni di Enrico Medail e Guido Armellini il cantautore calabrese, mettendoci tutto se stesso, aggiunge di suo pugno, per la prima volta in italiano, sotto l’attenta supervisione di Mathieu Ferré, Thank you Satan, La Memoire et la Mer, Sans Façon, L’Oppression, L’Espoir, la Marseillaise e, mai incisa da Léo, La Mauvaise Graine. Carmine Torchia è autentico, vero, non interpreta ma fa suoi i brani, le parole, i concetti; canta con passione, dolore, partecipazione; dilata e comprime, aggiunge mirate spalle rockeggianti a quel fiume impetuoso e travolgente, addolcisce e inasprisce visioni e paesaggi, ci riconsegna un autore formidabile irrimediabilmente contemporaneo, attuale; ci conferma ancora nella convinzione di quanto possa essere stupefacente il connubio magico tra musica e poesia. Introduzioni e chiarimenti di Mathieu, di Enrico De Angelis, dell’altrettanto innamorato Andrea Satta.
Alberto Marchetti (Ardisc, giugno 2024)

Lino Straulino – Lino Straulino cjante Ermes (Nota, 2023)

Profondo conoscitore della cultura e della tradizione friulana, e carnica in particolare, Lino Straulino, nell’arco del suo quarantennale percorso artistico ha spesso incrociato il suo songwriting con i poeti della sua terra, rivestendone le liriche con le eleganti trame musicali intessute dalla sua chitarra. È il caso della sua opera prima come solista “La Faire”, uscita solo su cassetta nel 1990 e dedicata ai testi di Emilio Nardini, successivamente ripresi nel disco “Al Soreli” del 2005, ma anche di altre opere successive come “Tiere Nere” del 2001 con le poesie di Maurizio Mattiuzza, “Ogni sera. Lino Straulino al cjante Leonardo Zanier” del 2018 in cui musicava il “poliedrico narratore di Carnia” per usare le parole di Valter Colle che ne ha curato la pubblicazione. Album centrale in quello che è ormai un vero e proprio filone della sua articolata produzione discografica, è certamente l’album “Lino Straulino cjante Ermes” del 1997, frutto di un intenso lavoro di studio e ricerca sull’opera Ermes di Colloredo (1622-1692) e nel quale il cantautore e polistrumentista carnico rileggeva adattando in musica otto componimenti in lingua friulana del poeta-militare. Il disco giungeva, a dieci anni dal debutto come solista, e da quest’ultimo ne riprendeva l’approccio musicale, come ci ha raccontato in un intervista di qualche anno fa: “Fu l’inizio un po’ della mia carriera perché nel 1990 pubblicai la cassetta a mie spese con le canzoni di Nardini che poi diventarono un album. Da questa esperienza nacque alcuni anni dopo, dieci per la precisione perché era il 1997, anche il disco dedicato ad Ermes di Colloredo, che era una cosa a cui lavoravo da tempo, ma fu molto veloce come realizzazione perché per me era come affrontare Dante, lui è infatti il più grande poeta friulano. Mi fece molto piacere che Rienzo Pellegrini, che è un professore universitario ma anche un grande studioso della letteratura locale, apprezzò molto il mio lavoro di rielaborazione, perché nonostante fosse un disco per soli chitarra e voce ha ricevuto grandi consensi e non solo in Friuli”. Considerato una delle voci poetiche più significative della storia letteraria friulana per la sua poetica densa di realismo e non priva di accenti satirici e burleschi, Ermes di Colloredo utilizzava una ampia varietà di registri espressivi che lo vedevano spaziare dalle liriche d’amore, ai testi teatrali in forma dialogica in prosa e versi in cui racconta con spesso con pungente ironia i costumi e la società di fine Seicento, il tutto permeato da un forte senso del realismo. In occasione del quarto centenario della nascita del poeta friulano, la benemerita etichetta Nota, ha ristampato l’album in formato Cd-Book con l’aggiunta con l’aggiunta di un corposo booklet con tutti i testi rivisti e tradotti proprio da Rienzo Pellegrini, partendo dalla prima edizione Murero del 1785, opportunamente revisionati e commentati. Ritornare all’ascolto di questo disco, è l’occasione per riscoprirlo sotto una luce nuova con il prezioso lavoro di rimasterizzazione di Luca Brunetti, curatore della registrazione del 1996, che ci consente di cogliere tutte le sfumature poetiche dei brani, esaltando le tessiture chitarristiche e la voce di Lino Straulino. “La poetica del Seicento non pretende genuinità di sentimenti, freschezza e sincerità di emozioni.”, scrive Rienzo Pellegrini nella nota introduttiva del disco, “Esige per contro abilità tecnica, una manifestazione e una prova di virtuosismo. Io inclino a insistere sul fatto che la scrittura va considerata in rapporto al tempo nel quale si è prodotta. Lino, la sua voce e la sua musica adottano una prospettiva diversa: un Ermes di Colloredo in rapporto al tempo nel quale viviamo, alle costanti umane che non variano. Sono due impostazioni che possono convivere: complementari e non in antitesi”. Tutto questo lo si coglie a pieno in questa ristampa, con la musica che avvolge i versi del poeta friulano, esaltandone ora il lirismo, ora la pungente ironia, ora ancora la capacità di raccontare i chiaroscuri di fine Seicento. Ad aprire il disco è la struggente “Niccolò, lassi al fin l’amor tiran” in cui il poeta friulano racconta i suoi struggimenti d’amore al giovane Niccolò Madrisio (1656-1729), incorniciata dagli arpeggi della chitarra di Straulino che evoca la musica barocca. Si prosegue con la riflessione sull’arte de “Che al cil presumi d’innalzà”, e l’incanto della natura cantato nell’invito rivolto all’amico Girolamo di “Jaroni, i rusignui dal mio boschet…”. Se la canzone ritornellata “Mè saltat in tal capriz” presenta una brillante architettura musicale che mette in luce la peculiare struttura dei versi, la successiva “E un arbolät cu dis” colpisce per la costruzione metrica e per l’ironia del testo che Straulino rende in musica in modo brillante e coinvolgente. Le amare riflessioni sul mondo pieno di presunzione e di arroganza di “Tas plen di presunzion, tas arrogant” e quelle sulla vita di “Cappi, copari, cheste sì chè grande” ci conducono alla lunga ballata intimista “E ben reson, s’hai di chiantà dal sec” che chiude il disco. Onore al merito, dunque, a Nota per averci consegnato la nuova versione di questo album che, a buon diritto, può essere considerato uno dei punti più alti della discografia di Lino Straulino.

Non c’è più niente – Carmine Torchia per Léo Ferré

Carmine Torchia è nato a Catanzaro, cresciuto a Sersale e vive a Milano. Scrive canzoni, produce dischi, spettacoli e mette in musica i poeti. Due righe veloci che servono ad inquadrare un artista poliedrico e che ci aiutano a presentare il suo nuovo lavoro. Nel dicembre 2023 ha infatti pubblicato il libro-cd Non c’è più niente – Carmine Torchia per Leo Ferré, suonato e cantato con Daniele Fiaschi e Matteo D’Alessandro (e con la presenza di diversi ospiti). Un album ‘politico’, nato dalla collaborazione con La mémoire et la mer che lo ha prodotto assieme a Nota, l’etichetta discografica friulana di Valter Colle, con Edizioni Peermusic Italy.

Un lavoro di traduzione e rielaborazione musicale supportato dalla famiglia del cantautore francese, che era anche compositore, scrittore, artista impegnato in nome della libertà, anarchico con la A maiuscola, che si ispirava ai francesi “maudit” come Baudelaire, Verlaine, Rimbaud ma era anche affascinato dagli italiani Pavese e Testori; autori che nel tempo ha musicato e portato in scena nei suoi recital.
Ed è restando proprio nell’ambito del recital, che si alterna al canto, che si colloca questo tributo, frutto di uno studio e una frequentazione accurata e sentita con l’universo di uno dei giganti della musica d’autore francese. La traccia che apre l’ascolto è la prefazione Alla scuola della poesia. Torchia (qui sotto nella foto) sembra quasi canalizzare l’anima di Ferré, restituendoci un ritratto vivido e attuale attraverso le parole che hanno costruito le sue opere. L’ascolto risulta intenso e attento; il senso delle liriche crea una varietà di immagini e sensazioni che abbattono quei muri che aprono le porte dell’introiezione.

 

Sono tredici le canzoni selezionate da Mathieu Ferré, figlio di Léo. Sono state tradotte in italiano, alcune per la prima volta, come Il cattivo seme, Thank you Satan, No grazie, La Marsigliese e La speranza. Brani che vengono interpretati fedelmente con lo stile originale e personale di Carmine Torchia. Forse non è un album di facilissimo approccio, soprattutto per chi non ha mai affrontato la produzione autoriale di Léo Ferré, che con le sue inquietudini ha sempre raccontato la forza e la malinconia di un poeta ribelle, visionario, schietto, che non le mandava a dire. Ma già ad un secondo ascolto si inizia ad entrare meglio nel suo mondo e ad agevolare il tutto, nel piccolo libro che accompagna il cd, sono presenti i testi dei brani tradotti (oltre a quelli originali) più tre interventi che aiutano la comprensione. Il primo è ‘Paris-Sersale A/R’ scritto da Mathieu Ferré che introduce, spiega e “benedice” questa scelta operata da Carmine Torchia, accomunandolo alla figura di Caronte che traghetta l’ascoltatore alla scoperta di parole, di ‘Amore e di Libertà’. Segue poi Edoardo De Angelis in ‘Senza bavaglio, senza museruola’ permette di entrare maggiormente in connessione con il mondo e il pensiero di Léo, raccontando le sfumature che hanno caratterizzato i suoi testi e infine Andrea Satta, in ‘Ferré sul 38° parallelo’ rivela come Torchia sia riuscito a interpretarlo, attraverso una lettura poetica non convenzionale.

C’è chi sostiene che “Tradurre è un po’ come tradire”, tuttavia, questi testi nello scambio linguistico riescono a mantenere intatta la connotazione originale e vengono enfatizzati da un tappeto sonoro e da elementi che creano un’atmosfera elettrizzante. È il caso, ad esempio, del brano (recitato) La solitudine accompagnato dal suono della chitarra elettrica che gli dona un’anima rock. E di Non c’è più niente, un testo surreale, che nella versione originale ha una durata di oltre 15 minuti. Torchia lo amplia fino a farlo arrivare a circa 18 minuti, offrendo una suggestiva rilettura che scorre su un loop creato da un giro armonico-psichedelico, portandoci a scoprire (o riscoprire) parole che sembrano scritte oggi e che invitano a capire che in quel “non c’è più niente” si cela invece un tutto. Un concetto che ritroviamo nelle parole di Léo Ferré (qui al lato in una foto di repertorio) che compaiono anche sulla quarta di copertina dell’album: “Nasci solo muori solo, tra i due, ci sono avvenimenti, avvenimenti che spero tu scelga, perché la maggior parte delle volte questi avvenimenti ti vengono imposti, quindi fai tutto quello che puoi per mantenere questi avvenimenti per te stesso”. Il cdbook, racchiuso in un elegante digipack, è disponibile al link Non c’è più niente – Nota.it

Fabrizio De André, esce una versione dell’album “Crêuza de mä” in napoletano

di Camilla Sernagiotto – skytg24

Alcuni musicisti hanno reinterpretato le canzoni del celebre disco del cantautore genovese scomparso nel 1999, rifacendole in napoletano. Sono Teresa De Sio, Francesco Di Bella, Gerardo Balestrieri, Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico, Maldestro, Nando Citarella e Nuova Compagnia di Canto Popolare i protagonisti di questa nuova versione dell’opera che, in origine, è scritta e cantata in dialetto ligure. Il titolo è “’Na strada ’mmiez ’o mare – Napoli per Fabrizio De André”

Mentre l’album originale è scritto e cantato in dialetto ligure dal cantautore genovese scomparso nel 1999, questa nuova versione sarà tutta in dialetto napoletano.

Alcuni musicisti partenopei, infatti, hanno interpretato i brani di quell’opera importantissima delle sette note nostrane. Sono Teresa De Sio, Francesco Di Bella, Gerardo Balestrieri, Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico, Maldestro, Nando Citarella e Nuova Compagnia di Canto Popolare i protagonisti di questa reinterpretazione dell’opera che, in origine, è scritta e cantata in dialetto ligure.
’Na strada ’mmiez ’o mare – Napoli per Fabrizio De André sarà disponibile su Cd e in digitale dal 15 maggio 2024.

Arriva a più di trent’anni dall’uscita dell’originale e nasce da un’operazione datata quasi un decennio fa: l’intero album Crêuza de mä è stato tradotto in napoletano per due concerti che si sono tenuti nel cortile del Maschio Angioino il 14 e il 15 settembre del 2015.

Ora, in occasione del quarantennale dell’uscita discografica di Crêuza de mä, ciò che venne registrato a Napoli in quell’occasione targata 2015 viene pubblicato su CD da Nota.

È MERITO DELL’INTUIZIONE ARTISTICA DI TERESA DE SIO

Diamo a Cesare quel che è di Cesare, e in questo caso a Teresa De Sio quel che è di Teresa De Sio…
L’intuizione di tradurre in napoletano Crêuza de mä, infatti, è stata della cantautrice napoletana autrice di album come Sulla terra sulla luna (1980), Ombre rosse (1991) e dei più recenti Tutto cambia (2011) e Teresa canta Pino (2017).
Proprio nel sopracitato Tutto cambia, la cantante aveva ripreso Crêuza de mä traducendola in napoletano.

Assecondando quella intuizione, lo scrittore e giornalista musicale Annino La Posta ha avuto la brillante idea di estendere quel processo linguistico all’intera tracklist del disco di Fabrizio De Andrè.

L’ARRICCHIMENTO MUSICALE CONFERITO DAL NAPOLETANO

L’operazione di traduzione dal dialetto ligure a quello napoletano ha fatto emergere quanto innanzitutto questi due vernacoli siano compatibili tra loro.

Inoltre dimostra come l’arricchimento musicale conferito dal napoletano alla fonetica delle canzoni sia un plus notevole, senza nulla togliere ai brani originali in dialetto ligure chiaramente.

Questo spunto è stato poi condiviso con Dario Zigiotto, il compianto (è purtroppo recentemente scomparso) collaboratore di artisti come Ivano Fossati, Enzo Jannacci e dello stesso De André, nonché organizzatore di eventi e di festival molto importanti.
Sono stati coinvolti poi la Fondazione De André (la cui Presidente, Dori Ghezzi, si è resa disponibile nel ruolo di consulente del progetto) e il Club Tenco. E, non da ultimo, il Comune di Napoli, che ha adottato il progetto con entusiasmo permettendone la messa in scena.

LA REGISTRAZIONE NEL CORSO DEI DUE CONCERTI AL MASCHIO ANGIOINO

I brani che compariranno nel disco in uscita il 15 maggio sono stati registrati dal vivo in occasione dei due concerti al maschio angioino risalente al 2015. Si tratta di sette tracce suonate live.

La tracklist è la seguente:
1 – Teresa De Sio – ’Na strada ’mmiezz’o mare (Crêuza de mä)

2 – Francesco Di Bella – Jamina (Jamìn-a)

3 – Gerardo Balestrieri – Sidòne (Sidùn)

4 – Enzo Gragnaniello con Mimmo Maglionico – Sinan Capudan Pascià (Sinàn Capudàn Pascià)

5 – Maldestro – ’A pittima (Â pittima)

6 – Nando Citarella – ’A dummeneca (Â duménega)

7 – Fausta Vetere E Corrado Sfogli – Nccp – Da chella riva (D’ä mê riva)

I testi e le musiche sono di Fabrizio De André e Mauro Pagani, le traduzioni sono curate da Annino La Posta (tracce 2,3,4,5,6,7); Teresa De Sio (traccia 1); Gennaro del Piano (traccia 4).

I PROTAGONISTI DI QUESTA NUOVA VERSIONE, DA TERESA DE SIO A ENZO GRAGNANIELLO

Gli interpreti delle varie canzoni sono nove, nello specifico i seguenti.

Teresa De Sio non ha certo bisogno di presentazioni: è autrice, oltre che interprete, di capolavori che, partendo dalla canzone popolare, sono approdati alla canzone d’autore. È poi ritornata a quella che è diventata poi musica etnica, con uno spiccato talento nel cogliere alla perfezione parola e suono, assieme.

C’è poi Francesco Di Bella, ex membro dei 24 Grana (band elettrica ed elettronica di fine anni ’90). Dopo aver lasciato il grippo, prosegue per via solista ricercando un suono e una parola che lo consacrano alla musica d’autore.
Gerardo Balestrieri, invece, è un polistrumentista che ha partecipato a numerosi progetti teatrali, cinematografici e musicali. Nato in Germania, ha vissuto in giro per il mondo e ora si è fermato a Venezia. Ha pubblicato quattro album.

Enzo Gragnaniello è una delle voci napoletane più famose che ci siano. Dal 1983 a oggi, ha pubblicato ben diciotto album (coronati da tre Targhe Tenco nella categoria dei dischi in dialetto).

E ANCORA: MIMMO MAGLIONICO, MALDESTRO, NANDO CITARELLA…

Mimmo Maglionico è un flautista di formazione classica, instradato poi sulle vie della musica etnica (arrivando a suonare addirittura con Peter Gabriel). Con il progetto PietrArsa, il suo flauto ha sposato i suoni della quena, del chalumeau, della ciaramella, del flauto di Pan, realizzando un’interessante rilettura della musica popolare.

C’è poi Maldestro, giovane rivelazione del panorama cantautorale di provenienza napoletana. Con la canzone Sopra il tetto del Comune si è aggiudicato il Premio Ciampi, il premio SIAE, l’AFI e Musicultura 2014 nonché il Premio Fabrizio De André nel 2013. Con il disco di esordio è riuscito a entrare nella fase finale delle targhe Tenco per l’Opera Prima.

Nando Citarella è un altro grande nome della canzone dialettale. Negli ultimi decenni ha offerto una serie di spettacoli, ricerche etno-musicali, opere buffe, commedie musicali, concerti lirici, trasmissioni televisive, direzioni artistiche e docenze, diventando una voce importante a ogni livello nel panorama musicale partenopeo.

Infine, ci sono Fausta Vetere e Corrado Sfogli NCCP, che fanno parte della Nuova Compagnia di Canto Popolare, la prima e la più autorevole rappresentante della musica etnica napoletana nel mondo (attiva da oltre sessant’anni). È nata con lo scopo di “diffondere gli autentici valori della tradizione del popolo campano”.