Ettore Castagna – Lira sona sona (Nota, 2023)

La lira secondo Ettore Castagna

Volete sapere come si costruisce una lira? Ve lo spiegano Didier Demolin e Francesco Siviglia dal sito del progetto europeo Coling dedicato alle Lingue “minori”. In questa storia un messaggio in bottiglia viene raccolto da una giusta distanza incontra. In Italia, la “lira” è ancora associata prevalentemente alla valuta introdotta con l’unità d’Italia e poi sostituita dall’euro. In ambito musicale rimanda al guscio della tartaruga trasformato da Hermes nel cordofono di cui fece dono ad Apollo prima di trasformare Orfeo in sciamano: mitologie che rimandano al più antico cordofono di cui si abbia notizia, le lire a undici corde rinvenute a Ur del 2500 a.C. Ben pochi, invece, conoscono la lira calabrese e l’eredità culturale lasciata da costruttori e suonatori come Giuseppe Fragomeni. Ma, a volte, è la distanza a permettere di osservare il rilievo e la densità delle tradizioni locali: così è stato per il greco di Calabria e per la lira, strumento chiave per l’area grecanica. Nell’ambito del progetto Coling, la dimensione linguistica è stata messa in dialogo con quella musicale da Didier Demolin che, dalle sue basi accademiche fra Francia e Belgio, ha ascoltato quattro brani scelti nel 2013 da Ettore Castagna per un’“etnografia” di sé stesso: “Sonati gejusani”, “Organettara”, “Sonati di Contrada Chiusa”, “Sonati do Barilli”. Quei quattro brani messi a navigare nel mare magnum di Youtube hanno trovato le giuste orecchie una decina d’anni dopo, offrendo all’editore Nota un secondo, imperdibile capitolo, dedicato alla lira calabrese, occasione per incontrare nuovamente Ettore Castagna che, in queste pagine, ce l’aveva già presentata, sia in veste di scrittore (“Del sangue e del vino”), sia nel suo recente album “Ἐρημία/Eremìa”.
Qual è il tuo rapporto con la lira calabrese? Quando e come l’hai incontrata?
Avevo vent’anni e c’era da poco un gruppo musicale che faceva quello che allora si chiamava “riproposta”, “folk revival”, “musica popolare” ma anche tanta ricerca sul campo, il Re Niliu. Leggendo degli scritti di folclorista italiani di primo ‘900 che parlavano della lira mi venne in mente che magari qualcuno poteva essere ancora vivo, magari si poteva cercare una testimonianza. Il contagio con gli altri del Re Niliu fu rapido, ci mettemmo a cercare e fu una ricerca epica. Vennero fuori gli ultimi suonatori emersi da un mondo scomparso, un pezzo di mondo musicale bizantino che ci aveva aspettato fra le curve delle fiumare e in mezzo agli uliveti. L’incontro col primo suonatore, Giuseppe Fragomeni fu del 1980 ma fino al 1985 non la suonavo. Mi incuteva non so che timore reverenziale. Me ne impadronii velocemente dopo l’autunno del 1985. Per i primi vent’anni mi interessai solo alla lira della Calabria, poi non fu difficile capire che era il tassello del mosaico di un mondo organologico e musicale che andava molto oltre. Mi interessai alla lira nel mondo bizantino e allora venne naturale viaggiare e andare a ascoltare nei Balcani o in Anatolia e scoprire un universo. In Calabria la lira appartiene al mondo primordiale dei pastori e dei contadini; nel resto del territorio del nostro vecchio impero arriva ad essere un raffinato strumento di musica classica.

Quali scelte hai fatto negli anni nel documentare e nell’insegnare la lira e con quali risultati?

Ho scelto di studiare la lira esattamente come ho fatto con tutti gli altri strumenti della tradizione orale ovvero con l’ascoltare e il ripetere. Niente musica scritta. Piuttosto filmati e registrazioni. Ho insistito molto sul linguaggio, lo stile, il colore, il dialetto musicale. Insomma, la cifra stilistica di Pasolini.  Se vuoi comporre poesie in una lingua devi imparare quella lingua e questo ho cercato di fare.
Come hai selezionato i brani inclusi nell’album? Cosa raccontano le “stanze”?
I brani dell’album sono sia di tradizione orale della Locride, sia di mia composizione nei modi e nello stile popolare. Lo stesso vale per le stanze che precedono ogni brano. Nella poesia popolare le stanze sono gruppi di quattro versi endecasillabi quasi sempre improvvisati che venivano usati alla festa come all’osteria per lanciare una canzone o una danza verso l’ascolto degli astanti. Spesso coincidevano con un brindisi accentuando l’aspetto lirico ed estatico del vino. Ho imparato da molti poeti popolari, ma, in questo caso, il mio riferimento è il grande Micu Tropìa, albero di canto di Siderno.
Come hai lavorato sui brani in cui i versi cantati vengono dal repertorio popolare e la parte musicale è firmata da te?
Ho lavorato come qualsiasi musicista di tradizione orale. Ho suonato in quello stile, in quel dialetto, in quella modalità. È un po’ come trovarsi a Milano fra paesani, parli nello stesso dialetto e ridi e ti diverti, ti senti capito e capisci meglio te stesso.
Il disco è accompagnato da un ricco testo di cinquanta pagine in italiano (tradotto anche in inglese): vuoi descrivere per sommi capi come l’hai organizzato e le “tesi” che contiene?

La mia formazione è quella di un antropologo affascinato dal vecchio motto vichiano che recita “la Storia è l’unica scienza”. Allora mi sono messo a scavare incrociando bibliografie, documenti della tradizione orale, sociolinguistica, elementi musicologi e organologici, viaggi di ricerca ed ho scoperto, nel mio piccolo, che la deriva etnomusicologica che partiva da Fivos Anoianakis, passava da Roberto Leydi arrivava per forza sotto il mio naso.  Sono perfettamente d’accordo che la lira è un violino bizantino come sottolinea anche Sachs. Si tratta di uno strumento ad arco arrivato in Europa a cavallo fra Alto e Basso Medioevo e poi radicatosi nei territori dell’antico impero di Costantinopoli.

Vuoi presentarci i musicisti che hanno partecipato all’album e le modalità con cui il progetto è nato ed è stato registrato? Vi ascolteremo dal vivo?
Il disco è nato sostanzialmente su richiesta del professor Didier Demolin, etnomusicologo dell’Università Paris 3 Sorbonne Nouvelle, che mi ha coinvolto nel Coling Project sulle culture minoritarie. Devo alla sua insistenza l’aver accettato di registrare qualcosa di sostanzialmente filologico. In un certo senso Demolin mi ha convinto a documentare me stesso come principale testimone di una cultura musicale oggi scomparsa. Mi si perdonerà il “principale” ma sono l’unico di quel vecchio gruppo di ricerca che si è preoccupato con continuità negli ultimi quarant’anni di testimoniare in senso musicale, antropologico, didattico e storico quel linguaggio musicale, quel tipo di strumento, di fare un percorso di riproposta, di cercare un percorso innovativo collegandolo alle radici. I collaboratori, a dire il vero, non sono molti. La principale è Jenny Caracciolo, giovane figlia d’arte. Il suo canto, anche se con venature neomelodiche, riflette la modalità antica e melodiosa della muttetta con una ricchezza di note alterate e melismi non comuni.  In due brani collabora Mimmo Morello, sia alla voce che alla zampogna. In un brano c’è la precisa controvoce di Peppe Muraca. Il disco contiene anche la riedizione di tre brani presenti nel vecchio album “Nistanimera” in uno canta in greco di Calabria Cinzia Villani.

Ascoltarci dal vivo? Non so. Sia i festival che i premi oramai sono orientati a strizzare l’occhio al mainstream, alle casse dritte e a inseguire una immagine di gusto giovane che nella realtà non esiste. Un po’ come nel mondo dell’editoria. La nostra cantante ha venticinque anni. Magari basterà…

Quali lire suoni nell’album e chi le ha costruite? Chi sono i costruttori con cui collabori?
Suono quasi esclusivamente lire costruite dal mio indimenticato maestro Giuseppe Fragomeni. Il loro timbro è ineguagliabile. Come costruttori recenti apprezzo molto il suono delle lire di Pino Rubino e Peppe Manganaro. I loro strumenti suonano in modo vicino a quelli storici.
Stai preparando un nuovo disco? Puoi anticiparci qualcosa?
Sto lavorando a diversi progetti insieme. Vorrei riuscire a far uscire un lavoro sui cantautori italiani arrangiati per chitarra battente registrato prima del Covid e rimasto da allora al palo. Sto lavorando al progetto di una nuova band etnodub ma su questo per il momento non aggiungo altro. Infine, sto lavorando al mio prossimo album da autore che si chiamerà “Anèvasi” (L’Elevazione) e uscirà (spero) nel 2025 sempre per i grandi amici di Alfamusic.
Ettore Castagna – Lira sona sona (Nota, 2023)

Sono passati quarant’anni da quando i Re Niliu condividevano i primi frutti del loro quinquennale lavoro di ricerca in Calabria pubblicando “Non suli e no’ luna”, dopo una settimana “chiusi in una casa di campagna vicino Catanzaro a ripetere i pezzi sin alla follia” e le registrazioni dal vivo in uno “studio immenso della Ariston a Milano, le sovraincisioni si contarono sulle dita di una mano (…) in una sola settimana, missaggio compreso”. La lira sarà parte delle sonorità del gruppo per la prima volta nell’album “Caravi”, registrato nel dicembre del 1987 a Vercelli per la Robi Droli, suonata da Ettore Castagna che nel 1994 allega un corposo libretto con testi, foto e trascrizioni musicali al CD “La lira in Calabria” pubblicato a Catanzaro dalla Cooperativa Raffaele Lombardi Satriani: diciassette brani che documentano suonate raccolte fra il 1981 e il 1987; nel 2008 sarà edito nuovamente da Nota. La lira accompagna Castagna in tutti i gruppi cui ha dato vita: i Nistanimera con cui pubblicherà nel 2004 “Chorè!” e poi Mankikani Band (2005-2008), Antiche Ferrovie Calabro-Lucane (2009-2014), IndoKalabristani Band, la ricostituzione dei Re Niliu nel 2014, che comprenderà, nel 2016, anche Giuseppe Muraca. A dialogare con Ettore Castagna in “Lira sona sona” sono lo stesso Giuseppe Muraca, Mimmo Morello, Anna Cinzia Villani (già nei Nistanimera) e Jenny Caracciolo. Quest’ultima, originaria della Locride, è protagonista di metà dei quattordici brani ed è una voce che colpisce e incanta per la chiarezza e la confidenza, ma anche per la versatilità con sui si relaziona e l’anima che sa infondere ai diversi brani: dai fluidi ricami di “Canzuni a ballu” e “Ciaramegliara”, alla solennità di “A Madonna da Muntagna” (dedicata alla Madonna di Polsi) e “Muttetta all’antica”, agli ammalianti dialoghi con il malarruni (scacciapensieri) in “Zingarota” e con i suoni ambientali ed i frischiotti in “Alla murra”. Anna Cinzia Villani sa concentrare in un unico brano, “Ela trekse” l’intensità del greco di Bova, offrendo una trama di note lunghe che trasformano le vocali in corpi vibranti in perfetta sintonia con le corde della lira e, per chi li porta negli occhi, con i profili aspromontani. In “Sirinata” sono ben tre le voci – di Castagna, Muraca e Caracciolo – ad intrecciarsi e a far trasudare il sentimento dolente di un brano del repertorio di Micu Tropìa da Siderno. Non potevano mancare una serie di sonate, il genere in cui dar spazio alle infinite microvariazioni ritmiche, timbriche e melodiche dello strumento: Domenico Morello ci mette i piedi nella “Sonata a ballu”, la zampogna a paru in “Sonati streussi” (dove fa capolino anche il tamburello), e la voce in “Sirinata all’aria”. In solitaria, Castagna ripropone due brani che lo accompagnano da molti anni: “Sonati gejusani” che rimanda al repertorio di Pasquale Jervasi di Gioiosa Jonica, e “Sonati do Barilli” ovvero di Domenico Trimboli, le cui sonate, famose nella Locride, sono state tramandate da Micu Tropìa che lo aveva accompagnato in gioventù. Dalle sonate di quest’ultimo vengono anche “Strofetti e sonati a ballu” che fanno interagire la lira con frischiotti, chitarra battente e tamburello. Con infinite variazioni, quest’album introduce l’ascoltatore ad un mondo che ha visto la lira protagonista sia in solitaria, sia nell’interazione con strumenti adatti ad animare il ballo e la festa, così come ad esprimere i sentimenti più intimi che accompagnano le relazioni sociali ed i cicli di vita.