Gnawa Rumi. Musica diasporica marocchina in Italia (Nota, 2022)


Sechehaye ha curato anche “Jola. Hidden Gnawa Music in Brussels”, un album pubblicato da Muziekpublique (2020), dedicato alla scena gnawa della capitale belga. Proprio una visita di Sechehaye a Roma ha fatto da propulsore a “Gnawa Rumi”, al contempo viaggio lungo i decenni della diaspora marocchina e affascinante trama di relazioni fra protagonisti e frequentatori delle musiche gnawa attraverso la Penisola. E’ il quinto capitolo della collana Crossroads, rivolta a documentare le musiche migranti in Italia, che viene presentato il 20 e 21 agosto al Festival delle Culture Popolari a Collelongo (L’Aquila). Abbiamo chiesto di introdurci alla genesi e ai tanti risvolti di questo lavoro a Reda Zine e Stefano Portelli.
Roma. Abbiamo registrato per tre giorni nello studio romano The White Lodge, gestito da mio fratello Matteo Portelli, invitando alle sessioni anche due musicisti italiani che già avevano lavorato con la musica Gnawa: Roberto Bellatalla e Mario Camporeale, e un etnomusicologo esperto di Gnawa, Antonio Baldassarre, che ci ha mandato un suo brano registrato.
di didattica musicale. Lavorando con progetti musicali nelle scuole, avevo già realizzato una registrazione con bambini e bambine della scuola elementare di San Lazzaro di Savena, in Emilia Romagna, durante i difficili mesi di pandemia Covid. Si tratta del brano tradizionale Gnawa “Soudani Manayo” cantato da bimbi e bimbe. Ho così pensato di proporlo e inserirlo nel progetto perché è una prova di come questa musica attraversi, in modi sempre nuovi, spazi, geografie e generazioni diverse. Poi, nell’album è stato inserito anche un altro mio brano, “I Got the blues”, presente nel primo Lp dei Fawda trio e registrato dal vivo da Stefano durante un concerto bolognese con l’attuale formazione della band Fawda; la registrazione è interessante perché include anche una presentazione e introduzione al brano fatta durante il live. Infine, un ulteriore brano, “Shalaba”, è stato registrato a Roma, con Amine Ezzalzouli e Abdullah Ajerrar.
continuiamo a ragionare a compartimenti stagni ereditati dall’antropologia coloniale. Per fortuna il mondo è fluido, e ci sorprende sempre.
semplice nome “Fawda”). Infine, in quest’album, oltre all’arabo, ho usato per la prima volta anche l’italiano per il brano “doni e droni”. Un ulteriore cammino di trasformazione del nostro lavoro e di ricerca tra repertori, lingue ed estetiche.
Emilia, Toscana, Lazio, Calabria: i dodici brani raccolti in questo CD, energetico e spirituale, raccontano voci e interazioni diverse con uno dei versanti più generativi del percorso diasporico marocchino in Italia, quello legato alle pratiche gnawa. Quasi in contemporanea con “Gnawa Rumi” è uscito anche “Abou Maye”, secondo album dei Fawda che vede protagonista al guembri e voce Reda Zine, regista, insegnante e mediatore culturale di Bologna (gli altri due musicisti del trio, Fabrizio Puglisi e Danilo Mineo compaiono in “I got the blues”). In “Shalaba”, il brano che apre “Gnawa Rumi”, Reda suona la chitarra elettrica e da voce ad una quartina in italiano: “Ogni volta che sbarco in Europa / mi fan sentir che vengo dall’Africa / Quanto ci vuole per sentirsi in vita / lasciando terra, famiglia, per la libertà / Shalaba Titara l’afo lillahi / Wa la ilaha illa llah, o l’aziz a rasul llah”. L’atteggiamento di Reda Zine in questo brano riassume alcuni aspetti chiave dell’intero album: “Ho lasciato il guembri ad Amine e il mizan/il ritmo a Abdellah e ho scelto il mio primo strumento, la chitarra, per dare più graffio”. Il libretto che accompagna il CD, con testi in italiano, inglese e arabo, è molto accurato (con i profili di tutti i musicisti e collaboratori, riportati anche in https://www.facebook.com/gnawarumi/) e spiega come “Shalaba” sia un invito a radunarsi, a condividere i propri sentimenti. Il titolo della canzone seguente, “Mhiriza”, richiama il mortaio che in cucina aiuta a mischiare i diversi ingredienti così come avviene qui nelle chiamate e nelle risposte fra solista e coro, ancora più evidenti nei momenti strettamente vocali come avviene nella prima parte di “L’ada”, con i cori dedicati alla processione iniziale del rituale gnawa cui Amine Ezzalzouli aggiunge i ritmi sincopati del suo tamburo, invito alla cerimonia, a mettere in relazione umani e spiriti, a farli dialogare prima di accelerare il tempo, verso la trance… Sono state anche riprese registrazioni già effettuate in passato: “La ilaha ‘illa-llah”, per esempio, aggiunge in il guembri di Abdallah Ajarrar ad un brano precedentemente inciso da Nour Eddine Fatty (voce), Rashmi Bhatt (tabla) e Thomas Vahle (flauto peul). In ambito italiano, l’incontro più fertile sembra essere stato quello con i soni a ballu calabresi, testimoniato dal CD “Taragnawa” – nato dall’incontro vent’anni fa fra i calabresi Phaleg e Nour Eddine – che in “Gnawa Rumi” viene ripreso in brani come “Uma baniya” (con Gabriel Macri alla lira e al tamburello) e “Malu malu”, testimonianza del “moroccan’roll” bolognese e dell’intesa fra Abdallah Ajarrar, Gianluca Sia, Mimmo Mellace e Nico Canzoniero che da un decennio coltivano il gruppo Jedbalak. L’album è inoltre un’occasione per ascoltare il contrabbasso di Roberto Bellatalla in “Yurki madani” e “Sla a nbi” dove le sue linee con l’arco fanno riemergere le atmosfere free del sodalizio pluriennale con Louis Moholo. Il penultimo brano, “Sudani manayo” vede al centro il bel coro dei bambini della quinta C della scuola primaria “Luigi Donini” di San Lazzaro (Bologna) a testimonianza della capacità di alcuni di questi musicisti di dar vita a percorsi generativi anche nei contesti dell’educazione formale, ambito ben esplorato recentemente da un altro CD Nota. E, per terminare, “Allah Mulana (Khali Mbara meskin)” va al cuore delle danze collettive, e della suite “Neqsha”, raccontando le vicende del servo “zio Mbara” (già protagonista di “Malu Malu”), cui dà voce dall’Abruzzo l’etnomusicologo Antonio Baldassarre.