Michele Gazich | Federico Sirianni – Domani si vive e si muore (Nota, 2023)
Federico Sirianni – Quando, ancora studente di Lettere a Genova, conobbi Andrea Liberovici, figlio di Sergio Liberovici che con Michele Straniero diede vita ai Cantacronache e di Margot Galante Garrone, anch’essa protagonista di quella straordinaria storia. E poi, quando mi sono trasferito a Torino, era impossibile non confrontarsi con quel modo che precorse la grande epoca della canzone d’autore contemporanea italiana.
Michele Gazich – A dire la verità, in musica e parole. Non avrei mai scritto una canzone come Guerra Civile (“Dio sopravvive nei dettagli / Nelle crepe dei centri commerciali”) se non avessi incontrato i Cantacronache e, in particolare, Michele Straniero, che sapeva piegare l’immaginario religioso, di cui ogni italiano – anche suo malgrado – è intriso, ad un messaggio squisitamente politico.
Potete raccontarci la genesi del brano che apre il disco “Ho incontrato Michele Straniero” e “Danzacronaca”?
amici personali di Giovanni, Federico o miei, da anni. Gualtiero, per esempio, ha collaborato ad altri miei dischi ed io ai suoi (proprio un anno fa Bertelli e Bettelli furono ospiti del concerto di Gazich e Lamberti al Ghetto di Venezia ndr); con Moni sarò in tour il prossimo novembre e così via.
Dalla foto in bianco e nero della copertina, con un basco d’altri tempi, Michele Straniero ti guarda dritto negli occhi, mentre si aggiusta gli occhiali: ascoltato l’album, questo gesto appare un invito a saper affinare lo sguardo pur rimanendo nel comune campo di osservazione. Ad introdurre il lavoro, nel libretto, sono quattro testi puntuali “Ma cosa vuoi che sia una canzone?” di Fausto Pellegrini (“Canzoni diverse”) su canzoni con una dignità artistica legata alla rappresentazione della vita quotidiana; di Giovanni Straniero (“Abbeverarsi alla fonte”) che ricorda come Michele Straniero cominciò a scrivere prima poesie e poi testi per canzoni e come scrivesse in qualunque posto e in qualsiasi momento, su un’agenda telefonica o sui fazzolettini di carta; di Michele Gazich (“Abbeverarsi alla fonte”) e Federico Sirianni (“La fatica e il pericolo”). Se, oltre sessant’anni fa, i testi e le musiche dei Cantacronache hanno saputo richiamare l’attenzione di chi compone canzoni sulle emergenze sociali e sui rapporti di potere, leggere ora i versi di Michele Straniero diventa un’occasione per ascoltarne la dimensione più intima e affettiva là dove da forma al linguaggio delle emozioni intrecciando le “cronache” politica di allora (che non hanno smesso di parlare all’oggi). È il caso della strofa della quarta canzone in cui “il poeta raccoglie i gatti e la luna / Ti cambia la frase e l’idea / Ti dice ‘sei solo un gatto randagio’ / E la paura va via”. Non è marginale, nell’esplicitare i rapporti fra personale e politico, fare i conti con la paura e scovare lo sguardo e il linguaggio capace di esorcizzarla, perlomeno quando si ha la consapevolezza del legame che unisce potere, controllo e paura. E’ significativo il titolo di quest’album, verso della poesia omonima che, dopo aver cantato la condizione randagia, esplicita “E non ho paura di sapere che / Domani si vive e si muore”. Registrato da Fabrizio “Cit” Chiapello nello studio Transeuropa Recording di Torino, l’album coinvolge Marco “Tibu” Lamberti (basso, chitarra, banjo) in sei brani e vede ospiti Fausto Amodei, Gualtiero Bertelli, Maurizio Bettelli, Andrea Del Favero, Giovanna Famulari, Alessio Lega, Paolo Lucà, Giovanna Marini, Giangilberto Monti, Moni Ovadia. Fra i testi inediti di Michele L. Straniero, Gazich e Sirianni ne hanno selezionato otto che ci restituiscono in forma di canzoni, ognuna con una propria specifica qualità affettiva, un ventaglio di timbri diversi. Le note del bel libretto di 34 pagine che accompagna il cd, oltre che per le musiche, riportano i loro nomi anche per i testi, indicazione di un intervento, per quanto contenuto, di aggiustamento dei versi alle metriche di canzoni che si muovono liberamente rispetto ai tratti musicali che caratterizzavano i Cantacronache. La seconda canzone, “Lettera ai genitori”, affila subito la lama introspettiva: “Io non ci riesco a fare felici quelli che amo”. Se questa triste ammissione viene inizialmente accolta dalla cornice tersa del dialogo voce-chitarra acustica, uno dei fili rossi dell’album, la paletta sonora a disposizione sa far esploderne tutto il tragico portato, in particolare col piano elettrico Rhodes e il basso elettrico a sostenere l’urlo di dolore che intreccia voce e violino. L’archetto diventa protagonista nei due brani successivi, lirico controcanto a “Le case, le strade, la gente” che con la voce di Moni Ovadia ci ricorda che “il viaggio non è terminato”. Poi, a metà album, ecco un esplicito, ben pennellato rimando ai Cantacronache con Giovanna Marini al canto, Maurizio Bettelli all’armonica a bocca e Andrea Del Favero all’organetto che danno corpo a “Da un cielo umano” in cui “la colomba della pace / ripassi un giorno o l’altro da queste parti” sperando che nel frattempo “le poche verità non vadano perdute / in un incendio doloso”. Prima di avviarsi alla conclusione, “Il corridoio del Nautilus” sottrae la chitarra al ventaglio dei timbri per impastare in un unico tronco sonoro viola, violino e pianoforte acustico con le voci di Gazich e Sirianni per esplorare con dolore e tenerezza la “mossa complicata / quella d’essere qui”. La canzone che apre e quella che chiude l’album sono state scritte da Gazich e Sirianni stabilendo un legame tra la dimensione esplicitamente politica e quella più intima e affettiva che attraversa le poesie inedite Michele Straniero. “Ho incontrato Michele Straniero” è l’occasione per ascoltare la voce (parlata) di Giovanni Straniero che ci offre un toccante incipit: “Sono di questi posti / Ma nessuno mi crede”. La canzone sembra restituire il profondo processo di trasformazione offerto a Gazich e Sirianni dal lavoro sui testi di Michele Straniero, ma il dialogo che da forma ai versi non è riferito ai due autori. Ospite al canto e protagonista della canzone è Gualtiero Bertelli cui Michele Straniero rivolge un esplicito invito a percorrere da cantastorie una strada “ancora lunga” per realizzare il desiderio di vedere “l’Italia libera dai fascisti”. A chiudere l’album, dopo la bellissima ed essenziale “L’amore è sempre il punto”, è “Danzacronaca”: una energetica danza macabra che immagina una compagnia di amici – Umberto Eco, Danilo Dolci, Italo Calvino, Fabrizio De André, Giorgio Gaber e Franco Lucà – ad accogliere nell’aldilà Michele Straniero.