Michele Luciano Straniero, poesia e voce della protesta. Dalle lotte del Novecento al futuro
Michele Gazich, Federico Sirianni “Domani si vive e si muore”, cd e booklet, edizioni Nota. Canzoni bellissime e potenti dai versi inediti del musicologo, giornalista, scrittore, intellettuale che vedeva lontano, tra i padri di Cantacronache, scomparso nel ’98, per affermare l’urgenza di un ruolo dell’arte in un nuovo impegno sociale. Un progetto del nipote Giovanni Straniero tra gli “ospiti” dell’opera insieme a Fausto Amodei, Gualtiero Bertelli, Maurizio Bettelli, Andrea Del Favero, Giovanna Famulari, Marco Tibu Lamberti, Alessio Lega, Paolo Lucà, Giovanna Marini, Giangilberto Monti, Moni Ovadia. Perché non c’è più tempo
Emilio Jona
“Michele, da ragazzo, si mise prima a scrivere poesie e poi testi di canzoni che, come si sa, hanno due metriche diverse. E scriveva in qualunque posto e in qualsiasi momento, su un’agenda telefonica o sui fazzolettini di carta al ristorante (…). Straniero, dunque, fu un fervido poeta, pubblicò diversi libri e di lui disse Pasolini: ‘M.L. Straniero è uno dei pochi poeti del Novecento da ricordare’”.
Così scrive Giovanni Straniero nel booklet di Domani si vive e si muore, album pubblicato dall’editore Nota, nato da una raccolta di poesie inedite composte da suo zio Michele Luciano Straniero nell’arco della vita, e trasformate in canzoni da Michele Gazich (voce, viola, violino, pianoforte) e Federico Sirianni (voce e chitarra acustica), accompagnati dal basso elettrico e dal banjo di Marco Lamberti. I due musicisti e cantautori, insieme alle più autorevoli voci del folk italiano, come quella di Gualtiero Bertelli, Giovanna Marini, Fausto Amodei, Moni Ovadia, hanno risposto alla chiamata di Giovanni Straniero, ideatore del progetto, per restituire una vita agli scritti da lui ricevuti in eredità, e custoditi nell’ “Archivio Michele L. Straniero” alla Fondazione Carlo Donat-Cattin di Torino.
Pensieri, versi, suggestioni che l’autore intendeva tenere per sé, pubblicare su qualche rivista, oppure musicare? Non è dato sapere quale futuro avesse in mente Michele L. Straniero per questi suoi componimenti, ma è certamente una soluzione riuscitissima quella di rivestirli di note, perché la musica, più di ogni altra disciplina, ha contraddistinto l’attività professionale e l’esperienza umana di Straniero, da annoverare tra i padri della canzone d’autore.
“Avere incontrato Michele Straniero e avere musicato le sue parole è un dono immenso – scrive Michele Gazich – è stato un abbeverarsi alla fonte della canzone d’autore. E vicino alla fonte l’acqua è più fresca e pulita”.
Aggiunge Federico Sirianni: “Era la prima volta, per me che nella composizione di una canzone, la partenza è quasi sempre il testo, tentare di scrivere delle musiche su parole già scritte e, spesso, almeno questa era l’impressione, non per essere musicate”.
Ed è straordinario il lavoro di questi due artisti, autori di musiche e pensieri dalle trame di eccezionale spessore, premiati da riconoscimenti prestigiosi, uniti per la prima volta in un progetto comune, che li ha visti accogliere una sfida tremendamente difficile, quella di trasformare scritti altrui in canzoni, e con esse dare corpo alla voce più celata dell’autore. Prendendo in consegna un materiale fragile, che non poteva che richiedere una cura speciale e l’amorevolezza propria di chi quel materiale lo ha conosciuto e compreso nel profondo.
Domani si vive e si muore è un’opera che lascia un segno indelebile, per tante ragioni. Per la qualità evocativa dei testi, che si insinuano nell’animo di chi ascolta, mosso a partecipazione, condivisione di emozioni e sentimenti. Per la natura sensibile degli arrangiamenti, rispettosi del mondo musicale dell’autore; per la restituzione di un Michele L. Straniero introspettivo, privato che, con uno spiraglio di luce, ha rischiarato i momenti più segreti e inaccessibili della sua vita. Intrisi di rimpianti, di rabbia soffocata, di lotte personali ma anche di attese, di amori che non si sono avverati, di consolazioni, di dispiaceri sussurrati, di confessioni intime. Tracce di un’esistenza in cui egli appare in una dimensione del tutto ignota. Spesso commovente.
Di Michele Straniero è celebre la carriera pubblica di musicologo, giornalista all’Unità, autore e cantautore, di intellettuale impegnato. Giovanna Marini nell’autobiografia Una mattina mi son svegliata, lo definì “un grande personaggio di intelligenza lucidissima”, tra i primi studiosi in Italia a interessarsi di folklore, e in particolare di musica popolare, con l’obiettivo di portare all’interno della musica italiana nuove istanze legate all’impegno sociale e alle lotte delle classi subalterne, molto presenti nella canzone di tradizione. Si era in epoca di folk revival dove i grandi padri della ricerca sul canto popolare, Ernesto De Martino, Roberto Leydi, Diego Carpitella, davano l’avvio alle loro ricerche.
Si sa che fu allievo dei Salesiani di Torino e nell’adolescenza ebbe una formazione cattolica: fu infatti un militante di Azione Cattolica entro cui gravitavano altri giovani come Umberto Eco, Gianni Vattimo (che pure in seguito si allontaneranno da questa esperienza). Con loro vinse un concorso in Rai, entrando nella schiera dei cosiddetti “corsari”, giovani assunti per motivi intellettuali e di merito al di fuori delle logiche di lottizzazione e di appartenenza politica e lavorò alla redazione torinese per diverso tempo (Aldo Grasso L’addio a Carpitella corsaro della Rai, Corriere della Sera, 2008). Un luogo di lavoro stimolante, in cui venne a formarsi una redazione capace di elaborare progetti innovativi e di qualità, come il settimanale Orizzonte. Settimanale per i giovani. “Michele Straniero non è mai stato giovane – raccontava il nipote Giovanni –; già ai tempi del liceo classico si occupava di giornalismo. Era un funambolo della parola” (in Chiara Ferrari, Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati). Per Cantacronache, oltre a scrivere, come ricorda ancora Giovanna Marini, cantò anche diverse canzoni “con voce garbata di baritono, intonatissimo e musicale, con una memoria portentosa e una cultura da sapiente: un’enciclopedia ambulante”.
Nato a Milano nel 1936 Michele Luciano Straniero, figura di intellettuale eclettico, lo si ricorda come fondatore, con Sergio Liberovici, del gruppo Cantacronache che, a Torino dal 1958 al 1962, insieme a Emilio Jona, Fausto Amodei, Margot, nel pieno del miracolo economico italiano, scriveva, cantava e cercava di radicare il gusto per un altro tipo di canzoni, prendendo nettamente le distanze dalle canzonette di successo stile Festival di Sanremo. “Delle canzonette leggere in sé e per sé non ce ne importava molto: il nostro interesse non era mercantile, ma precisamente sociologico e ideologico, e decisamente contenutistico”, ricordava Michele Straniero in La rivolta in musica. Michele L. Straniero e il Cantacronache nella storia della musica italiana, di Giovanni Straniero e Mauro Barletta.
Canzoni a cui non spettava il compito di intrattenere un pubblico indistinto, ma farsi strumento per mostrare la realtà e ricostruire criticamente fatti di cronaca, consegnandoli così alla memoria collettiva. Le canzoni dovevano assolvere a una funzione educativa.
Per la prima volta emergeva con chiarezza la differenza tra “canzonetta” (bene di consumo nella nascente cultura di massa: “oggetto d’uso”, prodotto “gastronomico” slegato dal reale, come lo definì Umberto Eco) e canzone d’impegno (canzone d’autore, in cui riconoscere una poetica, un personale sguardo sulle cose). Evadere dall’evasione, infatti, era il motto scelto dai torinesi. Che erano sostenuti dalle voci più illuminate tra gli intellettuali, gli scrittori, i poeti dell’epoca. Da Italo Calvino a Umberto Eco, da Franco Fortini a Gianni Rodari, Franco Antonicelli, Mario Pogliotti.
I temi della quotidianità, quelli sociali e politici erano affrontati con parole intense e poetiche, melodie lineari adatte a sostenere il tono narrativo dei testi e a contrappuntare denunce pungenti mai gridate, ma mostrate in tutta la loro evidenza.
Canzoni diverse che facevano emergere uno sguardo alternativo sulla realtà politica, sociale e culturale italiana della fine anni Cinquanta e primi anni Sessanta, comunemente considerati gli anni del boom economico. Quelli della corsa ai consumi, della trasformazione da Paese agricolo a industrializzato, della nascita della cultura di massa. Non era certo l’Italia del benessere quella evocata dalle canzoni di Cantacronache, ma l’Italia vista dalla parte di chi le trasformazioni le subiva, l’Italia della protesta, di chi stava dalla parte delle minoranze e osservava la realtà con occhio critico, cercando di smascherarne le contraddizioni. Le loro canzoni si facevano carico di raccontare fatti, eventi, condizioni esistenziali spesso rimaste celate. Come gli omicidi bianchi nelle zolfare, tra cui quella siciliana di Gessolungo, dove nel 1958, per un’esplosione da grisou morirono quattordici lavoratori e vi furono cinquantotto feriti. A ricordo del fatto fu proprio Straniero a scrivere La zolfara, canzone intonata da Pietro Buttarelli.
E poi il lavoro al nord, con le prime lotte operaie, le difficoltà delle donne nelle fabbriche, una lettura del boom per niente gioiosa, anzi, minata dalla fatica e dai sacrifici patiti dai lavoratori, dall’apatia racchiusa nelle parole di Canzone triste, intonata da Margot su testo di Italo Calvino. La lettura critica, dunque, del miracolo economico, con l’idea che celasse con la sua fascinazione i reali problemi del paese, avviato a una fase di forte cambiamento in tutti i settori. Come ricordava Amodei in Ero un consumatore e in La canzone della Michelin. I drammi che colpivano le frange sociali più deboli e i bambini, i più incolpevoli a farne le spese, per i quali Straniero scrisse la dolente Canzone di Capodanno.
L’anticlericalismo e la critica verso la cultura bigotta della DC, la cosiddetta “Vecchia balena”, rievocati in Il tributo o Questa democrazia.
La politica italiana del luglio 1960 con la morte di giovani nelle piazze durante uno sciopero, resa celebre dalla canzone Per i morti di Reggio Emilia. Un particolare momento storico, il luglio ’60, che per certi aspetti rappresentò un rimosso, per altri un cambio della politica della memoria istituzionale in Italia, con il recupero dell’antifascismo. Con questa e altre canzoni, Cantacronache ebbe il merito di comporre le prime canzoni sulla Resistenza, con l’intenzione di tramandare i valori emersi dalla lotta partigiana alle nuove generazioni. Tra queste, Partigiano sconosciuto, cantata da Straniero, su musica di Liberovici e testo della partigiana Claudina Vaccari.
e Partigiani fratelli maggiori, su musica di Fausto Amodei.
Straniero interpretò inoltre Tredici milioni, testo di Emilio Jona e musica di Fausto Amodei.
Sul tema della Resistenza, inoltre, curò l’album Canti della Resistenza italiana 5 per l’etichetta I Dischi del sole (1964), coinvolgendo figure di spicco come Giovanna Daffini, il Gruppo Padano di Piadena, Mario Lodi. Con Paolo Ciarchi e Dario Fo, incise Se non ci ammazza i crucchi. Canto che, si narra, sia stato raccolto da Dario Fo in un’osteria della Val Travaglia nell’autunno del 1943, ma che più probabilmente era una sua composizione originale.
Successivamente, nel 1975 partecipò al progetto collettivo di Pietà l’è morta – Canti della Resistenza italiana 1 (Dischi del Sole, 1975) interpretando, con Fausto Amodei, Quei briganti neri, canto partigiano molto popolare nell’Ossola,
e La Badoglieide canto satirico sulla figura di Pietro Badoglio improvvisato da Nuto Revelli e da un gruppo di partigiani il 25 aprile 1944 nella zona di Narbona.
Tra i temi chiave di Cantacronache, anche la protesta sociale e politica. Il collettivo fu tra i primi a occuparsi di ricerca sul campo e restituzione di canti del passato, raccolti poi in diversi album. Tra questi, Canti di protesta del popolo italiano 1 (Cantacronache 4, 1960 Italia Canta) in cui Straniero interpretava il canto ispirato allo scandalo della Banca Romana del 1893, Il crack delle banche di Ulisse Barbieri, accompagnato da Fausto Amodei alla chitarra,
e la Canta di Matteotti di autore anonimo, sempre con l’accompagnamento di Amodei.
In Canti di protesta del popolo italiano 2 l’intellettuale milanese, torinese d’adozione, eseguiva l’Inno della rivolta, cantato nel corso dei moti della Lunigiana del gennaio 1894, su testo di Luigi Molinari con Amodei alla chitarra.
Anche le rivoluzioni fuori dall’Italia trovavano l’attenzione dei torinesi e di Straniero in particolare che partecipò al viaggio in Spagna alla ricerca dei canti della nuova resistenza spagnola durante la dittatura franchista. In sostegno alle lotte d’indipendenza dell’Algeria compose e interpretò Canzone del popolo algerino.
“Per la mia generazione – dichiarò – la guerra d’Algeria ha avuto il valore che ebbe per i nostri padri la guerra di Spagna, e per i più giovani quella del Vietnam: ci fece scoprire l’oppressione e la tortura, ci diede la certezza morale e l’entusiasmo di essere dalla parte giusta, ci aiutò a capire la dinamica della storia, fu quella che si dice una ‘presa di coscienza’ che ci aiutò a diventare adulti. (Straniero, Rovello, Cantacronache, i Cinquant’anni della canzone ribelle).
Così l’antimilitarismo e le prime marce della pace in Italia, erano argomenti molto sentiti da Straniero che scrisse Viva la pace e La ballata del soldato Adeodato cantata da Edmonda Aldini su musica di Liberovici.
Ma anche i sentimenti raccontati senza retorica, diversamente dalle canzoni dell’epoca, imperniate su amori idealizzati, idilliaci, esotici, costruiti su luoghi comuni e rime baciate, vocalità melense e sdolcinate. Tra le canzoni da lui interpretate, Tutti gli amori, dal testo di Franco Fortini e la musica di Sergio Liberovici (Cantacronache 2, 1958, Italia Canta).
Tutti gli amori cominciano bene: /l’amore di una donna, l’amore di un lavoro/E anche l’amore per la libertà/Spesso gli amori finiscono male/Chi è amato non sa amare, lavora chi tradì/La libertà è di chi la può comprare.
Importante l’attività di curatore di dischi di canto popolare, politico e sociale, nell’ambito del Nuovo Canzoniere Italiano, dove fu tra le figure più rilevanti dopo la fine dell’esperienza con Cantacronache. Tra i tanti, si ricorda l’album di Giovanna Daffini e Vittorio Carpi, Una voce, un paese (1967, Dischi del Sole) e Il lamento dei mendicanti di Matteo Salvatore (1967, Dischi del Sole).
Ma collaborò anche a diverse produzioni collettive per I Dischi del Sole, interessandosi di canto anarchico. Tra queste, l’album Addio Lugano bella (1968) con la sua interpretazione, accompagnato dalla chitarra di Paolo Ciachi, dell’Inno dell’Internazionale, (canto risalente al 1874-75 scritto da Stanislao Alberici Giannini sull’aria della Marsigliese, nato come inno del lavoro e del proletariato) [https://www.youtube.com/watch?v=uk46LF2x8Ro] e della Marsigliese del lavoro (o Inno dei pezzenti) ricavato da una poesia di Carlo Monticelli del 1881.
Nell’album L’Ordine nuovo (Antologia della canzone comunista italiana, Dischi del Sole, 1968) con l’anonimo Torna a casa americano, riaffermava le proprie idee pacifiste.
Riproposte in altre due canzoni, Preghiera Del Marine di Ivan Della Mea e Paolo Ciarchi, con l’accompagnamento di Ciarchi e La Révolution dal testo in francese di Mao Tse Tung e musica di Sergio Liberovici, incise per le edizioni Linea Rossa (emanazione di I Dischi del Sole) nel 1967.
Nel periodo di attività con il Nuovo Canzoniere Italiano fu inoltre protagonista dell’episodio più clamoroso legato allo spettacolo Bella ciao: il 20 giugno 1964, al festival dei Due Mondi di Spoleto, Michele Straniero cantò, in sostituzione di Sandra Mantovani che era indisposta, i versi censurati di O Gorizia, tu sei maledetta, canzone di trincea della prima guerra mondiale, suscitando grande scandalo (quei versi erano stati proibiti da un accordo con il teatro, perché erano un’invettiva al mondo militare accusato di aver portato alla rovina l’Italia). Gli costò una denuncia per vilipendio alle forze armate italiane insieme ai responsabili della manifestazione. In particolare i versi Traditori signori ufficiali / che la guerra l’avete voluta / scannatori di carne venduta / e rovina della gioventù suscitarono in sala la reazione degli ufficiali presenti; nelle serate successive lo spettacolo venne costantemente disturbato da gruppi di fascisti. Quest’occasione rivelò di Straniero la forte personalità, un convinto e intransigente antifascismo.
Una versione con Fausto Amodei.
Nel 1966 fu tra i fondatori, a Milano, dell’Istituto Ernesto de Martino, intitolato al grande etnologo scomparso l’anno prima, e motore dell’attività del Nuovo Canzoniere Italiano per gli anni a seguire.
Straniero fu inoltre attivo nella ricerca di canti sociali, raccolse materiali in Piemonte, Puglia e Sicilia e nella Spagna franchista insieme a Sergio Liberovici e Margot.
Vastissima la sua produzione saggistica, tra cui si possono citare: I canti del mare nella tradizione popolare italiana (Milano, Mursia, 1980); Canti della grande guerra (Milano, Garzanti, 1981); Canti politici e sociali (Milano, Gammalibri, 1984); con Sergio Liberovici: Canti della nuova resistenza spagnola (Torino, Einaudi, 1962); con Emilio Jona, Sergio Liberovici, Giorgio De Maria il fondamentale Le canzoni della cattiva coscienza, prefazione di Umberto Eco (Milano, Bompiani, 1964); Antologia della canzone popolare piemontese tra settecento e novecento (Torino, Paravia, 1998); Manuale di musica popolare (Milano, Rizzoli, 1991).
Nel 1974 esordì come interprete solista pubblicando un intero album per I Dischi dello Zodiaco, Coi comforts della religione,
e nel 1975 Quando ero monaca. Canzoni allegre, maliziose e salaci, ricavate dalla tradizione popolare e dal vaudeville [intero album https://www.youtube.com/watch?v=J-zyI5YJ8L8] inaugurando una proficua collaborazione con Antonio Virgilio Savona, produttore e direttore della stessa etichetta discografica, oltre che arrangiatore e voce del Quartetto Cetra. Collaborazione che proseguiva nel 1977 con la realizzazione dell’album collettivo Al Gran Verde Che Il Frutto Matura – Canti Anarchici Di Pietro Gori, insieme a Gigliola Negri, Margot e Il Gruppo Folk Internazionale, dove Straniero incise Dimmelo Pietro Gori scritto da un anonimo nel periodo in cui l’anarchico era costretto al soggiorno coatto all’Elba (1896).
e due canti scritti da Pietro Gori: Addio compagno addio (Canto dei coatti)
e il celebre All’amor tuo fanciulla (Amore ribelle).
Con Savona, che era anche studioso ed etnomusicologo, realizzò inoltre diverse ricerche sul patrimonio orale, pubblicando saggi, tra cui Canti dell’emigrazione (Milano, Garzanti, 1976); Canti dell’Italia fascista (1919-1945) (Milano, Garzanti, 1979).
Nel 1979 esordiva come cantautore, con la pubblicazione dell’album La Madonna della Fiat per l’etichetta Divergo, con tracce musicali composte da Fausto Amodei, Margot, Sergio Liberovici, Virgilio Savona, Piero Santi e il musicista greco Notis Mavroudis. La canzone che dà il titolo al disco si riferiva alla statua della Madonna situata a Torino sul Monte dei Cappuccini. All’inizio degli anni Sessanta la direzione della Fiat aveva finanziato la realizzazione di una statua della Madonna (chiamata La Madonna dei lavoratori) in un punto strategico della collina torinese, sulla piazzetta davanti al Monte dei Cappuccini. Il collettivo Cantacronache, individuando una stonatura fra l’installazione di una statua sacra (che venne inaugurata il 27 marzo 1960) e il carattere dell’azienda che promuoveva l’iniziativa, compose appunto la canzone, con il testo di Straniero. Che la inserì nel suo album da solista. Ecco l’album intero.
Con Franco Lucà, negli anni Ottanta diede vita al Centro di Cultura Popolare di via Perrone a Torino e alla rivista mensile “Folk notes”: da queste due esperienze nasceva, nel 1988, il Folkclub, che rilancerà la musica popolare e d’autore. Il 4 agosto 1998, nel pieno della sua attività, Michele Luciano Straniero venne travolto da un’auto mentre stava attraversando corso Rosselli a Torino. Non si riprese più e morì a Torino il 7 dicembre 2000, lasciando una eredità di opere incompiute. Sprazzi della sua vita, spesa tra i libri e la musica, in Domani si vive e si muore compaiono nelle due canzoni originali composte dal duo Gazich – Sirianni per celebrare, con le loro parole, la figura dell’autore.
In apertura Ho incontrato Michele Straniero, introdotto dalla voce di Giovanni Straniero, è un immaginario incontro con l’intellettuale torinese, in cui persone ed eventi che hanno accompagnato la sua vicenda di artista e di studioso vengono alla ribalta. Titoli di canzoni, come Oltre il ponte, tra le più celebri di Cantacronache, e La zolfara, da lui scritta. Matteo Salvatore e Giovanna Daffini, dei cui dischi fu curatore, sono a rappresentare il canto popolare, argomento di studio e ricerca. L’irrompere della voce di Gualtiero Bertelli svela il senso della canzone, un sogno, l’illusione ma anche il bisogno di veder tornare oggi Michele L. Straniero, insieme alla sua fede antifascista a liberare un’Italia tinta di nero.
In chiusura Danzacronaca, con la partecipazione straordinaria di Fausto Amodei nell’introduzione parlata. Altre voci si alternano, quella di Giovanna Famulari con il suo violoncello, quella di Alessio Lega, di Giangilberto Monti, di Paolo Lucà.
Qui al ritmo di una danza macabra, Straniero è alla testa di un corteo di artisti e menti illuminate che hanno fatto parte della sua vita e che ora come lui non sono più su questa terra: Umberto Eco, Fabrizio De André, Danilo Dolci, poeta e attivista per la non violenza, Italo Calvino, Franco Lucà, tutti insieme a ricordarci che si vive e si muore, come bene sanno i poeti e i cantautori.
In mezzo ai due brani originali c’è il mondo privato di Michele L. Straniero. Un mondo in cui si entra con discrezione, in punta di piedi. Dove l’interpretazione è libera e scaturisce dagli interrogativi esistenziali di ciascuno.
Ci si imbatte nell’usitato scontro generazionale tra genitori e figli, e le diverse aspettative, e i sensi di colpa di chi sente di non essere riuscito a incarnare l’ideale tanto sperato (Lettera ai genitori). C’è la malinconia dei luoghi in cui si sono seminati ricordi, ma il tempo è trascorso e tutto è cambiato (Le case, le strade, la gente). Ritratti di figure femminili che sono esistite di un’esistenza modesta, di amori mancati (L’altro), di solitudini (Marta). Echi di protesta si odono in Da un cielo umano, dove l’eterna violenza degli oppressori sugli oppressi, dei padroni sulle miserie della povera gente e dei popoli disarmati, fa sì che la colomba della pace stenti a planare su questa terra. A fare da contrappunto la storica voce di Giovanna Marini, accompagnata dall’armonica a bocca di Maurizio Bettelli e dall’organetto di Andrea Del Favero.
Il corridoio del Nautilus è la traccia più struggente e “teneramente” disperata, ma dalla desolazione ci si può salvare.
L’amore che riempie ognuna delle parole scritte e, insieme, le note che le hanno rivestite; l’amore che appartiene a tutti i sognatori, che è coraggioso e vince ogni battaglia. L’amore che manda avanti il mondo. L’amore è sempre il punto.
Tra i testi che hanno segnato il percorso più intrinseco e umano dell’autore, c’è quello che dà il titolo a tutta la raccolta, che è una constatazione certamente meditata e sofferta, ovvero la consapevolezza della precarietà di tutte le cose, dell’impossibilità di trattenerle, perché domani si vive e si muore.
Come Margot, con la quale Straniero, più degli altri componenti di Cantacronache, aveva mantenuto un rapporto affettivo e di collaborazione, è riuscita a far convivere la sua natura più “barricadera” con quella intima, degli interni domestici, degli oggetti quotidiani, come ricordava Italo Calvino nelle note al disco d’esordio Canzoni di una coppia, così anche Straniero ha tenuto traccia del suo personale sentire. E la voce con cui ha gridato la protesta e la denuncia di fatti di cronaca quotidiana, incisa nei dischi e fissata nei libri è stata accompagnata da un sussurro, quello dei fatti interiori, dei sogni, dei pensieri, delle emozioni.
Ma il disco non è solo la voce intima di un grande intellettuale del Novecento, è anche una celebrazione della storia alternativa del nostro Paese, “alternativa perché proviene da un mondo che, è vero, non esiste più, ma che rappresenta un vivere etico, in cui i canti sono sempre espressione di un interesse collettivo e mai individuale” (Giovanna Marini); quella che ci è arrivata attraverso le ricerche sul campo e il recupero del patrimonio orale, quella che ci è giunta attraverso le canzoni composte a ricordo dei principi su cui si fonda la nostra Costituzione: la lotta partigiana, l’antifascismo. Il pacifismo. Quella che ci è pervenuta attraverso l’impegno di coloro che hanno dato voce alle istanze dei più fragili, ai quali non si può che essere sempre e per sempre grati.
Chiara Ferrari, autrice del libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno 4, 2021; coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli
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