Articoli

Catanzaro, Ettore Castagna e la lira: la vivida testimonianza di un mondo antico e mai perduto

images Catanzaro, Ettore Castagna e la lira: la vivida testimonianza di un mondo antico e mai perdutoEttore Castagna, catanzarese di domicilio bergamasco ma migrante di destino ed anarchico di animo, è un personaggio di collocazione obliqua: ricercatore, antropologo ma anche quotato scrittore. La sua produzione artistica è fluente ed abbraccia varie esperienze: dai Re Niliu, un gruppo che è stato progenitore di un sound etnico tagliente, a una carriera solista che lo ha visto di recente anche esordire con “Eremìa”, un album molto ispirato e dal taglio cantautorale, pubblicato da Alfa Music qualche tempo fa. Nella sua ultima fatica si è concentrato sulla lira, un affascinante strumento ad arco dotato di sole tre corde, testimone di un mondo antico e mai perduto.

“Lira sona sona” è l’eloquente titolo: si tratta di una commissione pubblicata da www.nota.it, riservatagli nientemeno che dalla prestigiosa facoltà di Etnomusicologia della Sorbona a Parigi. Un disco ruvido e magnetico che scuote l’animo e svela le radici di una dimensione originatasi da antichi per quanto insuperabili Maestri: Questo è un album – esordisce- che avrei dovuto fare trent’anni fa ma che non avevo mai realizzato perché costantemente distratto da altro. Faccio da sempre troppe cose insieme. Nell’ultimo decennio poi mi sono  distaccato in modo  forse definitivo dalla riproposta filologica,  aggiungerei però che il Destino ha risolto il gioco. Una mattina di maggio 2023 spunta sulla porta di casa mia, a Bergamo il chiarissimo Professore Dider Demolin, che mi appare subito molto determinato. “Sono venuto a trovarti perché ho bisogno di parlarti di un progetto…” esordisce, e poi attacca un discorso al quale stentavo a credere, dato il mio rapporto non sempre sereno col mondo accademico, per lo meno italiano.

Una sorta di investitura sul campo insomma…
“Quella per fortuna era arrivata già prima. Didier è uno scienziato sorridente, dai modi franchi e diretti, senza alcuna retorica. “Tu sei il testimone storico della lira della Calabria – ha proseguito – quindi tocca a te fare un lavoro di sintesi della tua esperienza, in sostanza su di te, dal momento che rappresenti il Bartok italiano”.

Wow che shock!
“Difatti una volta ripresomi da lì a poco, che avrei potuto dire? Forse di no? Giammai. Con il prezioso supporto di un importante  sponsor internazionale, il disco è stato registrato alla velocità della luce in un mese, ho fatto quasi tutto da solo registrando fra Reggio Calabria e Bergamo. Pochissimi gli apporti esterni. Un disco direi etnografico, duro, schietto, frontale: la lira come si è suonata per secoli e come la suono io dal 1985. Devo però nominare come compagni di strada la meravigliosa presenza della voce di Jenny Caracciolo, molto antica ma a volte con venature neomelodiche e il sound primordiale di Mimmo Morello. Al disco hanno partecipato anche Peppe Muraca e Anna Cinzia Villani”.

Cosa è per te la contemporaneità? Perché insisti a suonare la lira in questo modo? Non temi l’archeologia?
“Sarò banale ma la mia idea del contemporaneo è molto filologica. Tutto ciò che esiste in questo momento, che con me esiste in questo momento. Suonare la lira così all’antica a molti pare limitato: bicordi a bordone, scale modali con le note alterate, insistiti ritmici sporchi e primordiali. Niente vibrati e niente scale spettacolari  con salti di posizione paganiniani ma circolarità, ricombinazioni continue, ipnotiche. Certe volte che suono solo, che suono per me, mi perdo per tempi dilatati e infiniti in questi cicli di micro variazioni e microtoni. Penso più a Steve Reich e a Terry Riley che al virtuosismo degli archi romantici… E devo dirti che procedendo in questo modo trovo la pace del cuore”.

Vivi a Bergamo dalla fine degli anni ’80, quindi lontano dalla Calabria e in maniera quasi ovvia per quanto inevitabile, tu i maggiori consensi li hai raggiunti altrove. Che sensazione ti fa adesso rispetto a quando sei andato via? Ti pesa la considerazione di non essere un “restante”? Oppure la Calabria resta, come ha già detto qualcuno, un luogo della mente?
“L’illustre De Martino diceva che è necessario avere un villaggio nella memoria e Pavese diceva  che  un paese “ci vuole”, anche solo per andare via. La Calabria è il villaggio della mia memoria. Ho una visione non retorica della Calabria e accetto quello che è oggi la mia regione di nascita come custodisco gelosamente memoria di quello che era prima e di quando sono andato via. Io sono un sostenitore della memoria  e uno scettico della nostalgia. La memoria è restituire le cose come sono andate. La nostalgia è la ricordanza di Leopardi, è trasformare il passato in meglio o in peggio. “Voglio essere testimone anche quando non ci sarà più nessuno a cui rendere testimonianza” dice Cassandra di Christa Wolf. Ed io questo penso”.

Restiamo ancora sulle tematiche regionali: paleariza se non erro nacque nel 1998, Tarantella Power(oggi Kaulonia Tarantella Festival) nel 1999, Primavera dei Teatri nel 1998, Joggiavantfolk negli stessi anni. Oggi Primavera dei Teatri è un festival considerato tra i maggiori nel panorama del teatro italiano proprio per la sua apertura verso altre realtà e territori, mentre Paleariza non si svolge più. Kaulonia Tarantella Festival si trova quasi costretto ad invitare nomi della TV, quasi delle vecchie glorie, che nessuno calcola realmente dal punto di vista artistico per avere un titolo sulla stampa locale e Joggi Avant Folk rimane un festival che si basa sul volontariato come altre realtà lodevoli ma che poi non hanno retto. Cosa è successo secondo te?
“È successo che il livello politico e quello culturale in Calabria non dialogano. La politica è asfittica, incapace, insensibile, depressa. Rispecchia lo sconcerto, il disincanto, la mancanza di sogni dell’elettorato. La qualità non interessa, non merita finanziamento. La Calabria vive quindici giorni ad agosto ed il metro della politica per finanziare lo spettacolo in genere è il cosiddetto  “salsicciometro”. Quanto sozizzu avete venduto? Tanto? Ok allora la festa è andata bene”.

Giorni fa si è laureato il primo zampognaro presso il conservatorio di Nocera Terinese. Ma da quanto mi risulta alle feste tradizionali “u sonu”, oggetto anche della tua ricerca, è diminuito fortemente. In compenso si stampano CD e libri sull’argomento. Ti sembra che il tutto abbia una sua logica? Quale potrebbe essere invece una politica efficace per la valorizzazione culturale e turistica delle tradizioni locali?
“Fino a pochi anni fa ci vergognavamo della stalla del nonno  perchè puzzava di animale e di concime. Oggi chiediamo i finanziamenti per farne uno spazio panoramico con idromassaggio dentro un agriturismo. Questo è quello che è successo. La cultura contadina e pastorale è stata oggetto di secolare vergogna storica. Dopo aver buttato a mare il bambino e l’acqua sporca ecco che oggi c’è il rimpianto. Dilaga la nostalgia verso quello che non abbiamo mai conosciuto davvero perché oggetto di rifiuto assoluto storico e sociale.  Rivogliamo la cosiddetta “tarantella”, rivogliamo la cosiddetta “tradizione”. Il Sud sembra una riserva indiana nel quale gli indigeni sconfitti mettono in scena una loro ritualità ipostatica  per incassare qualche dollaro dai turisti. La Calabria ha il suo repertorio… il peperoncino… la tarantella… perfino la ndrangheta… Una politica veramente seria di analisi critica della storia della Calabria e del Sud non è mai avvenuta. Solo un processo del genere, con la consapevolezza che porta con sé potrebbe avere un valore come elemento fondante di un progetto per il futuro”.

Quale ritieni essere stata la maggiore soddisfazione del tuo percorso artistico? Che differenza c’è quando scrivi una canzone ed invece quando hai a che fare con la stesura di un romanzo?
“Sono molto orgoglioso di aver mantenuto sempre la schiena dritta. Ho sempre suonato, cantato e scritto quello che mi piaceva scrivere in quel momento. Non ho mai rincorso le mode. Ho fatto il possibile e, spesso, l’impossibile per ignorarle. Mi piace scrivere musica, libri senza tempo. Dischi che ascolterai fra dieci o quarant’anni e penserai che ti parlano ancora. Non mi interessa essere a la page, seguire il cosiddetto mood. Ho fatto e faccio una fatica orba per essere me stesso e per restarlo. Dentro la mia musica e la mia scrittura c’è il bassista punk degli anni ’70, il viaggiatore, l’innamorato della filologia, il lettore dei classici come della beat generation, il suonatore di strumenti tradizionali, l’antropologo, il collezionista di vinili (ce mi hanno rubato), l’emigrante postmoderno, il  documentarista, il giornalista, il professore di letteratura… Una canzone può essere molto diversa da un romanzo. Non solo perché il lungometraggio è diverso dal cortometraggio ma io seguo l’insegnamento del caro indimenticato amico Mario Giacomelli. Una volta mi disse: “Quando io mi emoziono mentre scatto vuol dire che quella sarà certamente una grande foto”. Questo vale per tutto: per la foto, per il romanzo e per la canzone”.

Cosa ti aspetta nei prossimi mesi? So che hai già pronti almeno uno se non due dischi di materiale inedito e cosa ascolti oggi mosso solo dal piacere di farlo senza che il tutto possa eventualemte avere delle ripercussioni sulla tua attività di ricerca?
“Sono un ascoltatore caotico ma globale. Non ho generi di riferimento. Evito in genere il mainstream ma finisco per ascoltarlo lo stesso. Non mi piace la lirica salvo rare eccezioni. Il bello è che esattamente tutto quello che ascolti ha ripercussioni inevitabilmente in ciò che scrivi e suoni. Ma questo è il mio modo artistico di vivere la contemporaneità. In genere per scaramanzia sono piuttosto avaro di anticipazioni sul futuro. Sto lavorando al mio prossimo e secondo album da cantautore che dovrebbe uscire entro il 2025. Non avendo però grandi e ricche produzioni alle spalle i tempi non sono certi. Ecco, di questo sono orgoglioso, tutta la mia  vita artistica, nella scrittura e nella musica, è sempre stata autoproduzione. Ho sempre deciso tutto io… punti, virgole, pure le parentesi quadre”.

 

Catanzaro, Ettore Castagna e la lira: la vivida testimonianza di un mondo antico e mai perduto

Ettore Castagna, catanzarese di domicilio bergamasco ma migrante di destino ed anarchico di animo, è un personaggio di collocazione obliqua: ricercatore, antropologo ma anche quotato scrittore. La sua produzione artistica è fluente ed abbraccia varie esperienze: dai Re Niliu, un gruppo che è stato progenitore di un sound etnico tagliente, a una carriera solista che lo ha visto di recente anche esordire con “Eremìa”, un album molto ispirato e dal taglio cantautorale, pubblicato da Alfa Music qualche tempo fa. Nella sua ultima fatica si è concentrato sulla lira, un affascinante strumento ad arco dotato di sole tre corde, testimone di un mondo antico e mai perduto.

“Lira sona sona” è l’eloquente titolo: si tratta di una commissione pubblicata da www.nota.it, riservatagli nientemeno che dalla prestigiosa facoltà di Etnomusicologia della Sorbona a Parigi. Un disco ruvido e magnetico che scuote l’animo e svela le radici di una dimensione originatasi da antichi per quanto insuperabili Maestri: Questo è un album – esordisce- che avrei dovuto fare trent’anni fa ma che non avevo mai realizzato perché costantemente distratto da altro. Faccio da sempre troppe cose insieme. Nell’ultimo decennio poi mi sono  distaccato in modo  forse definitivo dalla riproposta filologica,  aggiungerei però che il Destino ha risolto il gioco. Una mattina di maggio 2023 spunta sulla porta di casa mia, a Bergamo il chiarissimo Professore Dider Demolin, che mi appare subito molto determinato. “Sono venuto a trovarti perché ho bisogno di parlarti di un progetto…” esordisce, e poi attacca un discorso al quale stentavo a credere, dato il mio rapporto non sempre sereno col mondo accademico, per lo meno italiano.

Una sorta di investitura sul campo insomma…

“Quella per fortuna era arrivata già prima. Didier è uno scienziato sorridente, dai modi franchi e diretti, senza alcuna retorica. “Tu sei il testimone storico della lira della Calabria – ha proseguito – quindi tocca a te fare un lavoro di sintesi della tua esperienza, in sostanza su di te, dal momento che rappresenti il Bartok italiano”.

Wow che shock!

“Difatti una volta ripresomi da lì a poco, che avrei potuto dire? Forse di no? Giammai. Con il prezioso supporto di un importante  sponsor internazionale, il disco è stato registrato alla velocità della luce in un mese, ho fatto quasi tutto da solo registrando fra Reggio Calabria e Bergamo. Pochissimi gli apporti esterni. Un disco direi etnografico, duro, schietto, frontale: la lira come si è suonata per secoli e come la suono io dal 1985. Devo però nominare come compagni di strada la meravigliosa presenza della voce di Jenny Caracciolo, molto antica ma a volte con venature neomelodiche e il sound primordiale di Mimmo Morello. Al disco hanno partecipato anche Peppe Muraca e Anna Cinzia Villani”.

Cosa è per te la contemporaneità? Perché insisti a suonare la lira in questo modo? Non temi l’archeologia?

“Sarò banale ma la mia idea del contemporaneo è molto filologica. Tutto ciò che esiste in questo momento, che con me esiste in questo momento. Suonare la lira così all’antica a molti pare limitato: bicordi a bordone, scale modali con le note alterate, insistiti ritmici sporchi e primordiali. Niente vibrati e niente scale spettacolari  con salti di posizione paganiniani ma circolarità, ricombinazioni continue, ipnotiche. Certe volte che suono solo, che suono per me, mi perdo per tempi dilatati e infiniti in questi cicli di micro variazioni e microtoni. Penso più a Steve Reich e a Terry Riley che al virtuosismo degli archi romantici… E devo dirti che procedendo in questo modo trovo la pace del cuore”.

Vivi a Bergamo dalla fine degli anni ’80, quindi lontano dalla Calabria e in maniera quasi ovvia per quanto inevitabile, tu i maggiori consensi li hai raggiunti altrove. Che sensazione ti fa adesso rispetto a quando sei andato via? Ti pesa la considerazione di non essere un “restante”? Oppure la Calabria resta, come ha già detto qualcuno, un luogo della mente?

“L’illustre De Martino diceva che è necessario avere un villaggio nella memoria e Pavese diceva  che  un paese “ci vuole”, anche solo per andare via. La Calabria è il villaggio della mia memoria. Ho una visione non retorica della Calabria e accetto quello che è oggi la mia regione di nascita come custodisco gelosamente memoria di quello che era prima e di quando sono andato via. Io sono un sostenitore della memoria  e uno scettico della nostalgia. La memoria è restituire le cose come sono andate. La nostalgia è la ricordanza di Leopardi, è trasformare il passato in meglio o in peggio. “Voglio essere testimone anche quando non ci sarà più nessuno a cui rendere testimonianza” dice Cassandra di Christa Wolf. Ed io questo penso”.

Restiamo ancora sulle tematiche regionali: paleariza se non erro nacque nel 1998, Tarantella Power(oggi Kaulonia Tarantella Festival) nel 1999, Primavera dei Teatri nel 1998, Joggiavantfolk negli stessi anni. Oggi Primavera dei Teatri è un festival considerato tra i maggiori nel panorama del teatro italiano proprio per la sua apertura verso altre realtà e territori, mentre Paleariza non si svolge più. Kaulonia Tarantella Festival si trova quasi costretto ad invitare nomi della TV, quasi delle vecchie glorie, che nessuno calcola realmente dal punto di vista artistico per avere un titolo sulla stampa locale e Joggi Avant Folk rimane un festival che si basa sul volontariato come altre realtà lodevoli ma che poi non hanno retto. Cosa è successo secondo te?

“È successo che il livello politico e quello culturale in Calabria non dialogano. La politica è asfittica, incapace, insensibile, depressa. Rispecchia lo sconcerto, il disincanto, la mancanza di sogni dell’elettorato. La qualità non interessa, non merita finanziamento. La Calabria vive quindici giorni ad agosto ed il metro della politica per finanziare lo spettacolo in genere è il cosiddetto  “salsicciometro”. Quanto sozizzu avete venduto? Tanto? Ok allora la festa è andata bene”.

Giorni fa si è laureato il primo zampognaro presso il conservatorio di Nocera Terinese. Ma da quanto mi risulta alle feste tradizionali “u sonu”, oggetto anche della tua ricerca, è diminuito fortemente. In compenso si stampano CD e libri sull’argomento. Ti sembra che il tutto abbia una sua logica? Quale potrebbe essere invece una politica efficace per la valorizzazione culturale e turistica delle tradizioni locali?

“Fino a pochi anni fa ci vergognavamo della stalla del nonno  perchè puzzava di animale e di concime. Oggi chiediamo i finanziamenti per farne uno spazio panoramico con idromassaggio dentro un agriturismo. Questo è quello che è successo. La cultura contadina e pastorale è stata oggetto di secolare vergogna storica. Dopo aver buttato a mare il bambino e l’acqua sporca ecco che oggi c’è il rimpianto. Dilaga la nostalgia verso quello che non abbiamo mai conosciuto davvero perché oggetto di rifiuto assoluto storico e sociale.  Rivogliamo la cosiddetta “tarantella”, rivogliamo la cosiddetta “tradizione”. Il Sud sembra una riserva indiana nel quale gli indigeni sconfitti mettono in scena una loro ritualità ipostatica  per incassare qualche dollaro dai turisti. La Calabria ha il suo repertorio… il peperoncino… la tarantella… perfino la ndrangheta… Una politica veramente seria di analisi critica della storia della Calabria e del Sud non è mai avvenuta. Solo un processo del genere, con la consapevolezza che porta con sé potrebbe avere un valore come elemento fondante di un progetto per il futuro”.

Quale ritieni essere stata la maggiore soddisfazione del tuo percorso artistico? Che differenza c’è quando scrivi una canzone ed invece quando hai a che fare con la stesura di un romanzo?

“Sono molto orgoglioso di aver mantenuto sempre la schiena dritta. Ho sempre suonato, cantato e scritto quello che mi piaceva scrivere in quel momento. Non ho mai rincorso le mode. Ho fatto il possibile e, spesso, l’impossibile per ignorarle. Mi piace scrivere musica, libri senza tempo. Dischi che ascolterai fra dieci o quarant’anni e penserai che ti parlano ancora. Non mi interessa essere a la page, seguire il cosiddetto mood. Ho fatto e faccio una fatica orba per essere me stesso e per restarlo. Dentro la mia musica e la mia scrittura c’è il bassista punk degli anni ’70, il viaggiatore, l’innamorato della filologia, il lettore dei classici come della beat generation, il suonatore di strumenti tradizionali, l’antropologo, il collezionista di vinili (ce mi hanno rubato), l’emigrante postmoderno, il  documentarista, il giornalista, il professore di letteratura… Una canzone può essere molto diversa da un romanzo. Non solo perché il lungometraggio è diverso dal cortometraggio ma io seguo l’insegnamento del caro indimenticato amico Mario Giacomelli. Una volta mi disse: “Quando io mi emoziono mentre scatto vuol dire che quella sarà certamente una grande foto”. Questo vale per tutto: per la foto, per il romanzo e per la canzone”.

Cosa ti aspetta nei prossimi mesi? So che hai già pronti almeno uno se non due dischi di materiale inedito e cosa ascolti oggi mosso solo dal piacere di farlo senza che il tutto possa eventualemte avere delle ripercussioni sulla tua attività di ricerca?

“Sono un ascoltatore caotico ma globale. Non ho generi di riferimento. Evito in genere il mainstream ma finisco per ascoltarlo lo stesso. Non mi piace la lirica salvo rare eccezioni. Il bello è che esattamente tutto quello che ascolti ha ripercussioni inevitabilmente in ciò che scrivi e suoni. Ma questo è il mio modo artistico di vivere la contemporaneità. In genere per scaramanzia sono piuttosto avaro di anticipazioni sul futuro. Sto lavorando al mio prossimo e secondo album da cantautore che dovrebbe uscire entro il 2025. Non avendo però grandi e ricche produzioni alle spalle i tempi non sono certi. Ecco, di questo sono orgoglioso, tutta la mia  vita artistica, nella scrittura e nella musica, è sempre stata autoproduzione. Ho sempre deciso tutto io… punti, virgole, pure le parentesi quadre”.

 

Ettore Castagna – Lira sona sona (Nota, 2023)

La lira secondo Ettore Castagna

Volete sapere come si costruisce una lira? Ve lo spiegano Didier Demolin e Francesco Siviglia dal sito del progetto europeo Coling dedicato alle Lingue “minori”. In questa storia un messaggio in bottiglia viene raccolto da una giusta distanza incontra. In Italia, la “lira” è ancora associata prevalentemente alla valuta introdotta con l’unità d’Italia e poi sostituita dall’euro. In ambito musicale rimanda al guscio della tartaruga trasformato da Hermes nel cordofono di cui fece dono ad Apollo prima di trasformare Orfeo in sciamano: mitologie che rimandano al più antico cordofono di cui si abbia notizia, le lire a undici corde rinvenute a Ur del 2500 a.C. Ben pochi, invece, conoscono la lira calabrese e l’eredità culturale lasciata da costruttori e suonatori come Giuseppe Fragomeni. Ma, a volte, è la distanza a permettere di osservare il rilievo e la densità delle tradizioni locali: così è stato per il greco di Calabria e per la lira, strumento chiave per l’area grecanica. Nell’ambito del progetto Coling, la dimensione linguistica è stata messa in dialogo con quella musicale da Didier Demolin che, dalle sue basi accademiche fra Francia e Belgio, ha ascoltato quattro brani scelti nel 2013 da Ettore Castagna per un’“etnografia” di sé stesso: “Sonati gejusani”, “Organettara”, “Sonati di Contrada Chiusa”, “Sonati do Barilli”. Quei quattro brani messi a navigare nel mare magnum di Youtube hanno trovato le giuste orecchie una decina d’anni dopo, offrendo all’editore Nota un secondo, imperdibile capitolo, dedicato alla lira calabrese, occasione per incontrare nuovamente Ettore Castagna che, in queste pagine, ce l’aveva già presentata, sia in veste di scrittore (“Del sangue e del vino”), sia nel suo recente album “Ἐρημία/Eremìa”.
Qual è il tuo rapporto con la lira calabrese? Quando e come l’hai incontrata?
Avevo vent’anni e c’era da poco un gruppo musicale che faceva quello che allora si chiamava “riproposta”, “folk revival”, “musica popolare” ma anche tanta ricerca sul campo, il Re Niliu. Leggendo degli scritti di folclorista italiani di primo ‘900 che parlavano della lira mi venne in mente che magari qualcuno poteva essere ancora vivo, magari si poteva cercare una testimonianza. Il contagio con gli altri del Re Niliu fu rapido, ci mettemmo a cercare e fu una ricerca epica. Vennero fuori gli ultimi suonatori emersi da un mondo scomparso, un pezzo di mondo musicale bizantino che ci aveva aspettato fra le curve delle fiumare e in mezzo agli uliveti. L’incontro col primo suonatore, Giuseppe Fragomeni fu del 1980 ma fino al 1985 non la suonavo. Mi incuteva non so che timore reverenziale. Me ne impadronii velocemente dopo l’autunno del 1985. Per i primi vent’anni mi interessai solo alla lira della Calabria, poi non fu difficile capire che era il tassello del mosaico di un mondo organologico e musicale che andava molto oltre. Mi interessai alla lira nel mondo bizantino e allora venne naturale viaggiare e andare a ascoltare nei Balcani o in Anatolia e scoprire un universo. In Calabria la lira appartiene al mondo primordiale dei pastori e dei contadini; nel resto del territorio del nostro vecchio impero arriva ad essere un raffinato strumento di musica classica.

Quali scelte hai fatto negli anni nel documentare e nell’insegnare la lira e con quali risultati?

Ho scelto di studiare la lira esattamente come ho fatto con tutti gli altri strumenti della tradizione orale ovvero con l’ascoltare e il ripetere. Niente musica scritta. Piuttosto filmati e registrazioni. Ho insistito molto sul linguaggio, lo stile, il colore, il dialetto musicale. Insomma, la cifra stilistica di Pasolini.  Se vuoi comporre poesie in una lingua devi imparare quella lingua e questo ho cercato di fare.
Come hai selezionato i brani inclusi nell’album? Cosa raccontano le “stanze”?
I brani dell’album sono sia di tradizione orale della Locride, sia di mia composizione nei modi e nello stile popolare. Lo stesso vale per le stanze che precedono ogni brano. Nella poesia popolare le stanze sono gruppi di quattro versi endecasillabi quasi sempre improvvisati che venivano usati alla festa come all’osteria per lanciare una canzone o una danza verso l’ascolto degli astanti. Spesso coincidevano con un brindisi accentuando l’aspetto lirico ed estatico del vino. Ho imparato da molti poeti popolari, ma, in questo caso, il mio riferimento è il grande Micu Tropìa, albero di canto di Siderno.
Come hai lavorato sui brani in cui i versi cantati vengono dal repertorio popolare e la parte musicale è firmata da te?
Ho lavorato come qualsiasi musicista di tradizione orale. Ho suonato in quello stile, in quel dialetto, in quella modalità. È un po’ come trovarsi a Milano fra paesani, parli nello stesso dialetto e ridi e ti diverti, ti senti capito e capisci meglio te stesso.
Il disco è accompagnato da un ricco testo di cinquanta pagine in italiano (tradotto anche in inglese): vuoi descrivere per sommi capi come l’hai organizzato e le “tesi” che contiene?

La mia formazione è quella di un antropologo affascinato dal vecchio motto vichiano che recita “la Storia è l’unica scienza”. Allora mi sono messo a scavare incrociando bibliografie, documenti della tradizione orale, sociolinguistica, elementi musicologi e organologici, viaggi di ricerca ed ho scoperto, nel mio piccolo, che la deriva etnomusicologica che partiva da Fivos Anoianakis, passava da Roberto Leydi arrivava per forza sotto il mio naso.  Sono perfettamente d’accordo che la lira è un violino bizantino come sottolinea anche Sachs. Si tratta di uno strumento ad arco arrivato in Europa a cavallo fra Alto e Basso Medioevo e poi radicatosi nei territori dell’antico impero di Costantinopoli.

Vuoi presentarci i musicisti che hanno partecipato all’album e le modalità con cui il progetto è nato ed è stato registrato? Vi ascolteremo dal vivo?
Il disco è nato sostanzialmente su richiesta del professor Didier Demolin, etnomusicologo dell’Università Paris 3 Sorbonne Nouvelle, che mi ha coinvolto nel Coling Project sulle culture minoritarie. Devo alla sua insistenza l’aver accettato di registrare qualcosa di sostanzialmente filologico. In un certo senso Demolin mi ha convinto a documentare me stesso come principale testimone di una cultura musicale oggi scomparsa. Mi si perdonerà il “principale” ma sono l’unico di quel vecchio gruppo di ricerca che si è preoccupato con continuità negli ultimi quarant’anni di testimoniare in senso musicale, antropologico, didattico e storico quel linguaggio musicale, quel tipo di strumento, di fare un percorso di riproposta, di cercare un percorso innovativo collegandolo alle radici. I collaboratori, a dire il vero, non sono molti. La principale è Jenny Caracciolo, giovane figlia d’arte. Il suo canto, anche se con venature neomelodiche, riflette la modalità antica e melodiosa della muttetta con una ricchezza di note alterate e melismi non comuni.  In due brani collabora Mimmo Morello, sia alla voce che alla zampogna. In un brano c’è la precisa controvoce di Peppe Muraca. Il disco contiene anche la riedizione di tre brani presenti nel vecchio album “Nistanimera” in uno canta in greco di Calabria Cinzia Villani.

Ascoltarci dal vivo? Non so. Sia i festival che i premi oramai sono orientati a strizzare l’occhio al mainstream, alle casse dritte e a inseguire una immagine di gusto giovane che nella realtà non esiste. Un po’ come nel mondo dell’editoria. La nostra cantante ha venticinque anni. Magari basterà…

Quali lire suoni nell’album e chi le ha costruite? Chi sono i costruttori con cui collabori?
Suono quasi esclusivamente lire costruite dal mio indimenticato maestro Giuseppe Fragomeni. Il loro timbro è ineguagliabile. Come costruttori recenti apprezzo molto il suono delle lire di Pino Rubino e Peppe Manganaro. I loro strumenti suonano in modo vicino a quelli storici.
Stai preparando un nuovo disco? Puoi anticiparci qualcosa?
Sto lavorando a diversi progetti insieme. Vorrei riuscire a far uscire un lavoro sui cantautori italiani arrangiati per chitarra battente registrato prima del Covid e rimasto da allora al palo. Sto lavorando al progetto di una nuova band etnodub ma su questo per il momento non aggiungo altro. Infine, sto lavorando al mio prossimo album da autore che si chiamerà “Anèvasi” (L’Elevazione) e uscirà (spero) nel 2025 sempre per i grandi amici di Alfamusic.
Ettore Castagna – Lira sona sona (Nota, 2023)

Sono passati quarant’anni da quando i Re Niliu condividevano i primi frutti del loro quinquennale lavoro di ricerca in Calabria pubblicando “Non suli e no’ luna”, dopo una settimana “chiusi in una casa di campagna vicino Catanzaro a ripetere i pezzi sin alla follia” e le registrazioni dal vivo in uno “studio immenso della Ariston a Milano, le sovraincisioni si contarono sulle dita di una mano (…) in una sola settimana, missaggio compreso”. La lira sarà parte delle sonorità del gruppo per la prima volta nell’album “Caravi”, registrato nel dicembre del 1987 a Vercelli per la Robi Droli, suonata da Ettore Castagna che nel 1994 allega un corposo libretto con testi, foto e trascrizioni musicali al CD “La lira in Calabria” pubblicato a Catanzaro dalla Cooperativa Raffaele Lombardi Satriani: diciassette brani che documentano suonate raccolte fra il 1981 e il 1987; nel 2008 sarà edito nuovamente da Nota. La lira accompagna Castagna in tutti i gruppi cui ha dato vita: i Nistanimera con cui pubblicherà nel 2004 “Chorè!” e poi Mankikani Band (2005-2008), Antiche Ferrovie Calabro-Lucane (2009-2014), IndoKalabristani Band, la ricostituzione dei Re Niliu nel 2014, che comprenderà, nel 2016, anche Giuseppe Muraca. A dialogare con Ettore Castagna in “Lira sona sona” sono lo stesso Giuseppe Muraca, Mimmo Morello, Anna Cinzia Villani (già nei Nistanimera) e Jenny Caracciolo. Quest’ultima, originaria della Locride, è protagonista di metà dei quattordici brani ed è una voce che colpisce e incanta per la chiarezza e la confidenza, ma anche per la versatilità con sui si relaziona e l’anima che sa infondere ai diversi brani: dai fluidi ricami di “Canzuni a ballu” e “Ciaramegliara”, alla solennità di “A Madonna da Muntagna” (dedicata alla Madonna di Polsi) e “Muttetta all’antica”, agli ammalianti dialoghi con il malarruni (scacciapensieri) in “Zingarota” e con i suoni ambientali ed i frischiotti in “Alla murra”. Anna Cinzia Villani sa concentrare in un unico brano, “Ela trekse” l’intensità del greco di Bova, offrendo una trama di note lunghe che trasformano le vocali in corpi vibranti in perfetta sintonia con le corde della lira e, per chi li porta negli occhi, con i profili aspromontani. In “Sirinata” sono ben tre le voci – di Castagna, Muraca e Caracciolo – ad intrecciarsi e a far trasudare il sentimento dolente di un brano del repertorio di Micu Tropìa da Siderno. Non potevano mancare una serie di sonate, il genere in cui dar spazio alle infinite microvariazioni ritmiche, timbriche e melodiche dello strumento: Domenico Morello ci mette i piedi nella “Sonata a ballu”, la zampogna a paru in “Sonati streussi” (dove fa capolino anche il tamburello), e la voce in “Sirinata all’aria”. In solitaria, Castagna ripropone due brani che lo accompagnano da molti anni: “Sonati gejusani” che rimanda al repertorio di Pasquale Jervasi di Gioiosa Jonica, e “Sonati do Barilli” ovvero di Domenico Trimboli, le cui sonate, famose nella Locride, sono state tramandate da Micu Tropìa che lo aveva accompagnato in gioventù. Dalle sonate di quest’ultimo vengono anche “Strofetti e sonati a ballu” che fanno interagire la lira con frischiotti, chitarra battente e tamburello. Con infinite variazioni, quest’album introduce l’ascoltatore ad un mondo che ha visto la lira protagonista sia in solitaria, sia nell’interazione con strumenti adatti ad animare il ballo e la festa, così come ad esprimere i sentimenti più intimi che accompagnano le relazioni sociali ed i cicli di vita.