Mauro Carrero: dal ciglio del rittano un album per Beppe Fenoglio
Mauro Carrero ritratto da Giampiero Murialdo
Mauro Carrero è l’autore di Jose e Davide (libro + CD, pp. 70, pres. di Edoardo Borra, Nota ed., collana Block Nota diretta da Valter Colle, € 15), un album, un romanzo, un film in nove canzoni ispirate alla sceneggiatura che Beppe Fenoglio stava scrivendo nel 1962 per Gianfranco Bettetini. Del concept album si è già parlato su queste colonne, e oggi vogliamo approfondire le ragioni della scelta e le fasi di lavorazione del disco riproponendo l’intervista che feci all’autore nel febbraio scorso per la rivista L’indice dei libri del mese.
Tutto è iniziato nel 2006 con Un giorno di fuoco.
L’idea mi venne nel leggere un’osservazione critica di Gian Luigi Beccaria ed Elisabetta Soletti relativa a un appunto del diario fenogliano che recita: “Prepotente mi ritorna alla memoria il gran fatto di Gallesio di Gorzegno”. Beccaria e Soletti notavano come l’appunto ricordasse molto l’incipit delle antiche ballate popolari, quelle cantate e diffuse dai cantastorie attraverso fogli volanti nelle fiere e nelle feste. L’osservazione era probabilmente suggerita dal fatto che molte canzoni popolari avessero per tema vicende memorabili, episodi di cronaca e fatti di sangue. Si prendano ad esempio alcuni titoli dei famosi Canti popolari del Piemonte raccolti da Costantino Nigra nell’Ottocento: L’infanticida alla forca, La parricida, La ragazza assassinata o anche la più celebre di tutte,Donna Lombarda, che narra di un uxoricidio. Ben presto mi accorsi che non solo la nota diaristica aveva in sé una sua musicalità, ma lo stesso attacco di Un giorno di fuoco possedeva una certa ritmica e delle rime intrinseche.
Poi è giunta la proposta di lavorare sulla sceneggiatura. Ci dici, in poche frasi, qual è la vicenda di Jose e Davide?
Siamo a S. Benedetto Belbo negli anni 1956-1960. La storia è quella di due fratelli contadini, Jose e Davide, che dopo la morte del padre entrano in conflitto, a causa dell’atteggiamento dispotico di Davide, e finiscono per separarsi. Jose, il più giovane, emigra a Torino dove troverà lavoro in un’immonda fabbrica, mentre Davide resterà a coltivare la terra. Jose, inoltre, andrà a convivere con una donna di nome Maria, ex prostituta. Dopo circa due anni di permanenza a Torino, Jose deciderà di recarsi in visita al luogo natìo insieme alla compagna per ferragosto, giorno in cui si conclude tragicamente la storia.
Perché trasformare una sceneggiatura in un concept album?
Sebbene conoscessi già il testo, non avevo mai pensato a un’operazione simile. Il suggerimento è stato di Edoardo Borra, a cui era piaciuta molto la canzone Un giorno di fuoco e che da tempo pensava di rivalorizzare in qualche modo la sceneggiatura, perché era un peccato che un testo così affascinante, fresco e ricco di significati rischiasse di restare dimenticato. Sovente mi capita di scoprire che molti tra gli appassionati di Fenoglio non sanno di questo suo progetto per il cinema. L’idea mi piacque tanto che ci misi grande impegno per realizzarla, anche perché capii che era un esperimento forse unico nel suo genere.
Ci sono luoghi di Langa su cui sei andato a cercare ispirazione?
In quel periodo giravo sempre con un taccuino e mi fermavo in diversi posti per riflettere o prendere appunti. Ricordo per certo che mi fermai al Passo della Bossola, proprio sopra S. Benedetto, un luogo estremamente simbolico per Fenoglio, come fa notare a più riprese Valter Boggione tra i saggi de La sfortuna in favore (un testo che è stato fondamentale per i miei studi preliminari sulla sceneggiatura). Il Passo della Bossola è paragonabile alle Colonne d’Ercole, il confine ultimo, la fine del mondo conosciuto. Proprio lì andrà infatti Jose, sulla moto (altro elemento simbolico) insieme a Cino, per chiedere consiglio all’amico sull’emigrazione in città.
Ma, come spiego anche all’interno del libretto che accompagna il CD, la riflessione en plein air è stata fondamentale soprattutto per scrivere la canzone Davide rimasto sulla terra che inizia con i versi: “Ogni sera vengo qui, e mi siedo per un po’, qui sul ciglio del rittano”. Ed è proprio ciò che facevo: sovente, alla sera, facevo pochi passi fuori da casa e mi recavo su una collinetta dalla quale posso godere di un’ampia veduta sulle Langhe da una parte e sul Roero dall’altra. Quel Roero oltre il quale a volte sembra quasi d’intravvedere “il riflesso del faro lontano, di Torino” (per usare questa volta le parole di Pavese).
Come hai lavorato sul testo originale? È stato difficile mantenerne il fascino e la potenza della lingua di Fenoglio?
Innanzitutto c’era da rispettare la trama e il significato morale delle scene, ma dovendo necessariamente sintetizzare. Ho cercato inoltre di mantenere alcune delle immagini che più mi colpivano per la nitidezza o per il senso di ironia. A volte ne ho anche aggiunte di mia invenzione, nate per suggestione, che mi permettevano di collegarmi col passo successivo. Dal punto di vista linguistico mi sono lasciato attrarre da rime e assonanze già presenti nel testo, oppure dalla ritmica di certe frasi, dalle quali, come per un’eco, si autoproducessero i versi successivi. Ad esempio, nella canzone Giocare e non giocare l’immagine dei giocatori di carte che sembrano “quattro vecchi capi indiani” è di Fenoglio, ma io vi ho aggiunto il verso “negli occhi uno spettro come gli sciamani” dove, oltre alla rima, ho utilizzato un chiasmo: “quattro vecchi/occhi spettro”. Oppure in Morte del padre, l’immagine di “una smorfia col naso come per scacciarsi una mosca”, è diventata “una smorfia con la bocca, come per dire ‘vacca’”. Ho inserito delle varianti così come delle canzoni popolari trasmesse oralmente (e la storia ha in sé un sentore di fabulapopolare) esistono diverse lezioni con varianti di particolari.
Alterni brani folk, country, tempi di valzer, ritmi più moderni e urbani. Hai avuto dei modelli di riferimento per la composizione?
Diciamo che ho seguito abbastanza l’istinto. Dovevo sentire che parole, melodia e ritmica stessero in piedi nella forma più minimale, con voce e chitarra, e serbare una certa coerenza con i contenuti. Non avevo precisi modelli di riferimento, anche se è possibile che almeno a livello inconscio abbiano influito i miei ascolti. Per quanto possa spaziare tra i generi, sono legato soprattutto alla forma canzone, non ascolto molta musica strumentale.
E ora parliamo dei temi della storia. I due fratelli provano sentimenti negativi: Davide invidia il fratello più giovane perché ha avuto il coraggio di strapparsi alla terra e di fuggire in città. Jose, da parte sua, prova rancore – e odia – Davide perché la fa da padrone sulla terra che fu di loro padre. Chi è il più forte? Chi il più debole? Per chi parteggia Mauro Carrero? E per chi parteggiava Beppe Fenoglio?
Davide è la tipica persona che si comporta da forte con i deboli e da debole con i forti. Per questo e altri atteggiamenti, è una figura assolutamente meschina. Jose è più debole per il fatto che il fratello lo tiene in pugno, non dandogli altro che vitto e alloggio pur essendo Jose che svolge tutti i lavori più faticosi, ma si dimostra forte almeno su un punto, cioè proprio perché ha “il coraggio di strapparsi dalla terra”, anche se poi ne prova una nostalgia infinita. Credo sia impossibile parteggiare per Davide.
Anche tu sei un uomo di Langa. Qual è il fascino di personaggi che hanno le radici dentro le colline, abbarbicate alla terra?
Sono langarolo solo in parte. Dopo essere nato e vissuto 6 anni a Torino, sono cresciuto a Garessio, in Alta Valle Tanaro, e da circa 15 anni abito nelle Langhe. Sono venuto qui forse per una sorta di ancestrale richiamo. Questa infatti è la terra dei miei nonni paterni. Anche loro, nel dopoguerra, hanno vissuto l’inurbamento, trasferendosi proprio a Torino, dove è nato e vissuto mio padre, purtroppo morto giovane. Ho anche un fratello maggiore. Ritrovo quindi vari elementi nella storia di Jose e Davide che sono fonte di grande empatia e immedesimazione. Forse anche il mio sguardo un po’ da outsider mi ha permesso di vedere le cose in un certo modo. Le Langhe sono state per me un luogo dell’anima prima ancora che un luogo reale, un luogo mitizzato e favoleggiato fin da ragazzino proprio attraverso le pagine di Pavese e Fenoglio, oltre che attraverso il racconto dei miei nonni.
In questo universo di maschi biblicamente in lotta tra loro – Jose e Davide come Caino e Abele – che ruolo hanno le donne?
Le vere figure forti, le cape famiglia, parrebbero proprio le donne. Nella scena iniziale, quella della morte del padre, è Palma che assiste al decesso, e suo marito Davide, nell’annunciare la notizia al fratello, non fa altro che ripetere le parole di lei. Ed è sempre Palma che si occupa di organizzare il funerale. Anche di Maria, la veneta che va a convivere con Jose, si dice: “È Maria che parla, che conta, che almanacca”. È chiaro che Maria, in quanto ex prostituta, rappresenta l’incarnazione del Male. Boggione dice “la meretrix magna dell’Apocalisse, e la città da cui proviene è la Babilonia infernale”. Tuttavia c’è da tenere presente che esiste tutta una serie di testi preparatori, pubblicati dalla Corti in appendice alla sceneggiatura, in cui si intravvedono, tra le altre cose, ulteriori sviluppi della figura di Palma.
Tra non molto, il 1 marzo, cadrà l’anniversario della nascita di Beppe Fenoglio. Quale regalo, idealmente, gli vorresti portare?
Non so quale regalo potrebbe compensare quello che lui ha fatto a me, permettendomi di realizzare il sogno di pubblicare un album di canzoni, per di più legato a un progetto cui teneva tanto.