Franco Giordani – Truòisparìs

Truòsparis  è un cd veramente bello, molto più di un disco bello; prosegue il segmento di Incuintretimp e lo migliora, lo amplia e lo rafforza ed esprime una carattere e una poetica che, nella superficialità quotidiana che ci attanaglia, è cosa rara e preziosa. Un bene prezioso come una antica moneta d’oro. Un album che è un viaggio in terra di montagna, di acque, poeti e scrittori da cui, come già espresso in premessa, Giordani trae spunto raccontando il quotidiano, angoli di vita e le piccole cose, personaggi, accadimenti ambrati e tragici come il Vajont (vedi la poetica drammatica di Ega Neigra).

I suoni del cantato che vive di una sonorità propria e i suoni degli strumenti che aguzzano il folk oltre il folk, musicisti di talento e illuminati dal trasporto della passione, un package ricco e lussuoso con un booklet di 46 pagine che riporta i testi e le traduzioni dal dialetto, annotazioni, immagini e un racconto inedito di Mauro Corona, fanno sì che Truòsparis ci convogli in un viaggio mai banale, mai ordinario e possa appiccare la vampata per lo spunto a qualche riflessione.

Franco Giordani non è un novellino di primo pelo, il suo è un curriculum policromo che lo vede implicato in vari progetti di buona qualità culturale e collaborazioni con Luigi Maieron e con i parmensi Mé Pék & Barba; è un giovanotto con un gran talento che non viene sbandierato a destra e manca e la sua modestia gli fa onore. Tra i musicisti che partecipano a questo progetto menzioniamo Massimo Gatti al mandolino, Elvis Fior alla batteria, Icaro Gatti al contrabasso, Giulio Venier al violino e Tony Longheu alla slide.

Tra le varie tracks, tutte da scoprire come piccole pepite d’oro nel torrente sonico, citiamo obbligatoriamente la malinconica Revellisplendido omaggio a Ruggero Grava, calciatore del Torino, ed è una vicenda traboccante di emozioni, storia di miseria, emigrazione e il riscatto nei piedi e nel pallone e nel momento più alto un aereo che il 4 maggio del ‘49 cade giù nella sciagura di Superga; una canzone che da sola vale l’acquisto dell’opera; al banjo Jens Kruger. Ma non possiamo non indicare il mandolino struggente di Dulà Che I Truòis I Sparìs (dove i sentieri spariscono); l’ironia fatalista dell’indecisione tra Bionda O Brunacon un apprezzabile reticolo strumentale; i sentori di una chitarra flamenco in Bepi Manarin dove tracimano mestizia e memorie uggiose; l’amara disillusione al femminile di La So Scianta.

Ega Neigra ci riporta alla tragedia del Vajont, è un pugno diretto che spacca la corteccia e sferza accuse che non dovremmo mai scordare, brillante e suggestivo l’arrangiamento e l’atmosfera narrativa che richiama certe cose di Bubola. La gradevolezza poetica di No Sta Vèi Pòura (non aver paura); il bluegrass scintillante della frizzante Par No Pagé Al Dàthio (per non pagare il dazio) ci fa alzare il volume e battere il pedino mentre le conclusive Dusc Compàign (tutti uguali) con il confine della malinconia e le narrazioni di Ce Pròvi (cosa provano) con gli strumenti che architettano minimalista poesia sonica suggellano uno dei dischi italiani più affascinanti e profondi di quest’anno.